Non cercare sempre significati alle cose. Intervista a Giorgio de Chirico
L’intervista a Giorgio de Chirico, uno dei maggiori esponenti della pittura metafisica, è stata una delle più difficoltose. In molti l’hanno etichettato come personaggio burbero, scontroso, introverso e dotato di uno strano senso dell’umorismo, di una comicità tutta sua. Non hanno tutti i torti, ma tali caratteristiche lo hanno reso unico.
L’abbiamo incontrato in un nostro viaggio a Roma, all’interno della sua casa in Piazza di Spagna, in cui oggi ha sede la Fondazione che porta il suo nome e quello della moglie Isabella.
Ha visto che cosa le hanno dedicato, signor de Chirico? Grazie al lascito di sua moglie Isabella, si sono potuti raccogliere in questa struttura le sue opere e i suoi scritti. La Fondazione è stata inaugurata nel 1998, proprio qui, all’interno della casa dove ha vissuto gli ultimi trent'anni.
Dicono che Roma sia il centro del mondo e che Piazza di Spagna sia il centro di Roma, io e mia moglie quindi abbiamo vissuto nel centro del centro del mondo, quello che sarebbe il colmo in fatto di centrabilità e il colmo in fatto di antieccentricità.
Lei è considerato il padre della metafisica. Potrebbe spiegare ai nostri lettori che cosa si intende con questo termine?
A chiamare per primo la mia pittura “metafisica” sono stato io. “Metafisica” vuol dire al di là della fisica, al di fuori cioè del nostro campo visivo abituale e della nostra generale conoscenza, anche se nei miei quadri gli oggetti sono invece tutti riconoscibili, ma la metafisicità è nella composizione e nell’atmosfera creata dalla disposizione di quegli oggetti, nel rapporto tra di loro e tra essi e la tela. Pigliamo un esempio: io entro in una stanza, vedo un uomo seduto sopra una seggiola, dal soffitto vedo pendere una gabbia con dentro un canarino, sul muro scorgo dei quadri, in una biblioteca dei libri, tutto ciò non mi colpisce, non mi stupisce poiché la collana dei ricordi che si allacciano l’un l’altro mi spiega la logica di ciò che vedo; ma ammettiamo che per un momento e per cause inspiegabili e indipendenti dalla mia volontà si spezzi il filo di tale collana, chissà come vedrei l’uomo seduto, la gabbia, i quadri, la biblioteca; chissà allora quale stupore, quale terrore e forse anche quale dolcezza e quale consolazione proverei io mirando questa scena.
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Nella sua arte c'è una forte componente filosofica. Aveva un filosofo preferito?
Schopenhauer.
Era un gran pessimista.
Perché secondo lei i filosofi sono degli ottimisti?
Be’, non sono del tutto d'accordo con lei. C'erano altri filosofi da cui ha tratto ispirazione?
Schopenhauer e Nietzsche perché per primi insegnarono il profondo significato del non senso della vita e come tale non senso potesse venire tramutato in arte.
Parliamo dei suoi inizi. Leggo: «Una mattina dell’autunno del 1912, il giovane Picasso vide al Salon d’Automne alcuni quadri di De Chirico e disse ad Apollinaire: vieni a vedere, ho scoperto un grande pittore»[1]. Possiamo dire che lei è stato scoperto da Picasso?
Macché scoperto, lui non ha scoperto niente. Fra l’altro Picasso non è tipo che fa queste cose. Guardi, questa storia io la sento per la prima volta.
Nel nostro blog abbiamo avuto il piacere di intervistare il signor Picasso. Lei l’ha conosciuto?
Conosciuto, conosciuto! L’ho visto qualche volta, certo. Molti credono che a Parigi stessi tutto il giorno fra Picasso, Apollinaire e Max Jacob. In realtà quando ero a Parigi, lavoravo abbastanza e facevo una vita tranquilla. Naturalmente qualche volta incontravo anche Picasso. Ricordo che quando parlava era piuttosto spiritoso. Una sera, per esempio, l’ho sentito dire che la prima volta che gli avevano nominato Kokoschka aveva creduto che si trattasse del nome della cocaina in cecoslovacco.
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Davvero? Sì, anche a noi è sembrato un po’... estroverso. Si dice che lei non avesse molta stima per alcuni artisti celebri come Van Gogh, Cézanne, Gauguin. Crede che Picasso condividesse queste sue idee?
Credo che anche Picasso condividesse le mie idee. Dopotutto le cose fatte male non piacciono a nessuno. Cézanne stesso del resto confessava di non riuscire a dipingere. Gran parte del successo di certi pittori e scrittori è dovuto al loro atteggiamento. L’uomo che tratta male il prossimo può risvegliare, in certi determinati individui, un’ammirazione che può giungere sino all’innamoramento. Poi accade che i grandi uomini non hanno quanto si meritano, ma quasi sempre hanno almeno una parte di quello che si meritano.
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Diciamo che lei ha avuto nel tempo il successo che meritava, a prescindere dal gossip che girava nei suoi confronti...
La prego non utilizzi il termine “a prescindere”. Mi dà noia come parola! E non parli in inglese che lo odio!
Ah, mi scusi, non volevo urtare la sua sensibilità. So che lei non amava neppure pittori quali Jackson Pollock, che abbiamo intervistato poco tempo fa.
Pollock? Non l’ho conosciuto. Era quell’americano, morto mi sembra in un incidente d’auto. Ma non ricordo di avere visto un suo quadro. Credo abbia esposto anche alla Biennale di Venezia… Aspetti, era uno che dipingeva… sì, sì, buttava il colore sulla tela e poi ci camminava sopra, e poi chiamava anche la moglie a camminarci sopra… e poi ci camminavano tutti e due sopra! Sì, sì, mi ricordo, ma non con precisione. Vuole che lo giudichi? Ma come vuole che lo giudichi? Sono cose al di fuori della mia comprensione.
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Torniamo alla sua arte, alle sue opere. Nel dipinto Sole sul cavalletto ci sono ricordi d’infanzia? Per esempio, quella poltrona…
No, no, no. Nessun ricordo. È una poltrona che ho messo là perché sta bene. Signorina, è meglio guardare che cercare significati. Si limiti a osservare. L'arte è contemplazione.
Ha ragione, ma sa, siamo talmente abituati a cercare significati nascosti nelle cose. Quale fu il suo primo quadro?
Il mio primo quadro fu una vita silente [espressione utilizzata dall’artista per indicare natura morta, ndr]. Raffigurava tre grossi limoni, con le loro foglie sopra un tavolo. La composizione però era un po’ troppo simmetrica e monotona. Allora avevo 12 anni e il “grande” Cézanne, già vecchio, dopo aver dipinto tutta la vita, faceva delle mele perfettamente piatte! Alcuni pittori moderni quando vogliono dipingere frutta tirano fuori certe birbonate che sembrano sterco di quadrupedi.
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Lei è sempre stato molto sicuro di sé. Molti dicono che lei non abbia mai manifestato momenti di insicurezza, di angoscia.
Certo che sono sicuro di me. Non posso badare a tutto ciò che dicono di me. Lascio che parlino. C'era un complotto nei miei confronti! Lo sa, le Biennali non mi hanno mai premiato, non mi hanno mai riconosciuto, hanno anzi cercato d’ignorarmi, anche quando organizzarono la mostra sulla Metafisica nel 1948, la prima dopo la guerra, e io non venni né invitato né avvisato e misero insieme dei quadri di Carrà, di Morandi, di Sironi credo, e alcuni miei tra i quali un falso plateale di cui nemmeno s’accorsero e alla fine assegnarono il premio della pittura metafisica a Morandi il quale, poveretto, metafisico non lo è mai stato e lo negarono a me che della pittura metafisica sono il padre.
I falsi De Chirico si diffusero particolarmente negli anni Settanta, vero? C’è chi l’ha accusata che fosse stato lei a manovrare tutto.
Hanno creato la leggenda che ho la mania degli scandali e delle cause. Tutte spudorate menzogne!
Lei conosce il sistema della doppia tela: mi si portava un quadro vero per l’autenticazione e il quadro in realtà aveva una doppia tela, per cui la mia autentica andava a finire sulla tela bianca sulla quale poi sarebbe stato dipinto il falso. Falsificavano anche i timbri di notai e le autentiche notarili. Coloro che si trovavano in possesso di falsi De Chirico naturalmente protestavano, ma lo strano era che, invece di prendersela col falsario, se la prendevano con me, come se fossi io il responsabile del falso. In Italia comincerà ad andare meglio in ogni campo, ma soprattutto in arte e in politica, il giorno in cui gli italiani avranno deciso di smetterla di fare le scimmie, le serve e i provinciali.
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Ho cercato di osservare questo dipinto, Enigma di un pomeriggio d'autunno. Le confesso: oltre a una statua acefala, un edificio classico, due personaggi ignoti sulla destra e una barca a vela che spunta dietro a un muro, non riesco a vedere altro. Mi sembra buttato lì, tutto a caso, senza senso. Un vero e proprio enigma...
Durante un chiaro pomeriggio d'autunno ero seduto su una panca in mezzo a Piazza Santa Croce a Firenze. Non era certo la prima volta che vedevo questa piazza. Ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbosa. La natura intera, fino al marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. In mezzo alla piazza si levava una statua che rappresentava Dante avvolto in un lungo mantello, che stringeva la sua opera contro il suo corpo e inclinava verso terra la testa pensosa coronata d'alloro. La statua era in marmo bianco, ma il tempo gli aveva dato una tinta grigia, molto piacevole a vedersi. Il sole autunnale, tiepido e senza amore, illuminava la statua e la facciata del tempio. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito. Ogni volta che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile. Perciò mi piace chiamare enigma anche l'opera che ne deriva.
Quindi una rivelazione alla vista di oggetti identificabili, ai quali vengono attribuiti significati a seconda del trascorso di ognuno noi.
Una rivelazione può nascere tutt’a un tratto, quando noi meno ce l’aspettiamo, e può anche essere provocata dalla vista di qualche cosa come un edificio, una strada, un giardino, una piazza pubblica. Quando la rivelazione deriva dalla vista di una disposizione di cose, allora l’opera che si presenta al nostro pensiero è legata da un rapporto stretto con ciò che ha provocato la sua nascita.
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Dal momento che siamo un blog che tratta anche di letteratura le chiedo: c’è un’opera letteraria che considerava perfetta?
Secondo me, dal punto di vista narrativo, il libro perfetto è Madame Bovary di Flaubert. C’erano poi altri scrittori che ammiravo: Carducci, Pascoli, D’Annunzio che sono veri colossi in confronto ai molluschi acefali che infestano oggi il campo della letteratura.
Non generalizziamo: oggi ci sono ottimi scrittori. Ma lei prima di addormentarsi non leggeva niente?
No. Fumavo la pipa, spegnevo la luce e mi addormentavo benissimo. Non sentivo la necessità né l’intenzione di degradare la lettura a funzione di sonnifero.
Concludendo: che cosa pensa dell'arte moderna?
No, no, non posso rispondere, essendo legato al segreto professionale!
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Mi scusi? Non la seguo. Le confesso che a volte non capisco se ha piacere di trascorrere del tempo per le interviste oppure no, se scherza oppure parla seriamente...
Eh no, ma certo alla fine mi stanco! E poi ricordi: scherzando dico la verità. La potenza intellettuale di un uomo si misura dalla dose di umorismo che è capace di utilizzare. Io ho sempre apprezzato la gente di spirito. Secondo me la serietà non è mica una cosa profonda: è solo un modo di cavarsela. È più difficile far ridere che far piangere.
Giusto. La ringrazio molto per la sua disponibilità.
Posso andare ora a letto?
Per approfondire aspetti sulla vita di Giorgio de Chirico, consigliamo i seguenti libri:
- Giorgio de Chirico, Memorie della mia vita, Bompiani, 2008.
- Mario Ursino, Giorgio de Chirico. L'uomo, l'artista, il polemico. Guide alle interviste 1938-1978,Gangemi, 2012.
[1] In Incontro con Giorgio de Chirico, a cura di Carmine Siniscalco, Edizioni La Bautta, Matera – Ferrara, 1985, pp. 133-136.
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