Niente e nessuno è ciò che sembra. “La donna che vedi” di Giovanni Pannacci
La donna che vedi di Giovanni Pannacci (Fernandel, 2019) può essere letto come un tentativo di ricerca della propria identità, ma anche come un lungo percorso che conduce alla verità. Non la Verità Ultima, ma sicuramente quella su se stessi.
Protagonista del romanzo è Myriam Labate, una giovane e bellissima donna in carriera che sin dalle prime pagine del libro si scontra (e il lettore con lei) con due misteri: i continui blackout mentali che la colgono all’improvviso, catapultandola per pochi secondi in una quotidianità senza memoria, e l’inspiegabile licenziamento a cui il suo datore di lavoro e mentore l’ha obbligata pochi giorni prima di morire.
«Per tranquillizzarsi continuava a ripetersi che era solo una conseguenza dello stress: quegli episodi erano iniziati dopo che Winter, in punto di morte, le aveva comunicato che avrebbe dovuto lasciare l’azienda. L’aveva licenziata così, senza un motivo e senza aggiungere alcuna spiegazione. Da un giorno all’altro non era più la direttrice della Winter Beauty, non era più niente. Ma per lei quel lavoro non era solo un incarico prestigioso, col tempo era diventata la fonte a cui attingere tutto ciò che le era indispensabile per sentirsi viva. Quell’incarico era la sua identità e Winter lo sapeva bene, visto che era stato lui a costruirgliela.»
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Myriam è abituata a relazioni fugaci, all’uso costante ma sobrio di marijuana, a vestiti eleganti e a cene passate in solitudine nel giardino d’inverno della sua casa superlussuosa. È una donna che naviga nelle acque pericolose del mondo delle multinazionali, dominato dai maschi: l’unico ad averla capita è proprio il suo capo, quel Diktus Winter che ora, dopo morto, sembra averla tradita.
Ma ovviamente non è così. A mano a mano che la narrazione procede, in una prosa limpida e lineare, i misteri e le rivelazioni si moltiplicano, creando una trama da cui riverbera la suggestione del Tempo fuori di sesto, di Philip K. Dick, dal quale un po’ di anni fa Hollywood prese spunto per il più popolare Truman Show.
In questo La donna che vedi, secondo romanzo che Giovanni Pannacci pubblica con Fernandel, niente è ciò che sembra e nessuno o quasi è davvero chi dice di essere. Said, lo spacciatore che vive in una sorta di falansterio chiamato Ferriera e che intreccia con Myriam una relazione sentimentale fuori dagli schemi e dai pregiudizi, non è in realtà né un vero spacciatore né il maghrebino che il suo aspetto e il suo nome sembrano indicare. E anche il dottor Winter, la cui presenza/assenza accompagnerà Myriam e il lettore fino all’ultima pagina, non è esattamente il capitano d’industria che tutti s’erano figurati, ma qualcosa di più e di diverso, una via di mezzo fra un iniziato e un filosofo dilettante che ha letto troppo Schopenhauer.
«Prima di scomparire, Winter aveva disseminato il percorso di segni e avvisaglie e poi, come tutti i grandi maestri, s’era fatto invisibile, Myriam aveva imboccato la strada, il caso e l’istinto avevano fatto il resto, ma ora sapeva con certezza di essere diventata ciò che da sempre era destinata a essere.»
In un meccanismo narrativo fin troppo “oliato”, che in alcuni punti lascia intravvedere gli ingranaggi e a volte fa affidamento a soluzioni eccessivamente romanzesche, la stessa Myriam ritroverà e mostrerà la sua vera identità, non solo e non tanto agli altri personaggi del libro ma soprattutto a se stessa. Non serviranno notti alcoliche o sbandamenti sessuali, né eccesso di stupefacenti o di pillole magiche dai nomi orientali, a far riemergere da un oscuro passato la verità: ciò che davvero consentirà a Myriam di ritrovare il proprio io e riprendere in mano finalmente la sua vita sarà proprio il suo allontanarsi dal regime di vita con cui si era identificata per sfuggire ai suoi lontani ma traumatici anni giovanili. Saranno i compagni occasionali ma non casuali di questa sua avventura (Said e Winter prima di tutti), che le consentiranno di combattere e sconfiggere i fantasmi del passato e i nemici del presente.
«La verità era sempre stata lì, nascosta sotto la colpa e la vergogna, come un oggetto dimenticato in una casa abbandonata in fretta, una sedia zoppa, un cappello raggrinzito che nessuno verrà più a reclamare, eppure di fondamentale importanza in un altro tempo, in un altro luogo, in un’altra vita.»
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Nei quarantaquattro brevi capitoli della Donna che vedi, per un totale di circa centosessanta pagine, Giovanni Pannacci ci consegna una storia d’intrecci e colpi di scena, di nomi parlanti nascosti (il Lotto 49 che omaggia Pynchon, ad esempio) e di personaggi forse a tratti stereotipati ma non per questo poco riusciti. Una storia che diverte e fa riflettere: come le storie oneste, e scritte bene, solitamente sanno fare.
Per la prima foto, copyright: Jens Lindner su Unsplash.
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