Nelle delicate profondità della letteratura. “Nella balena” di Alessandro Barbaglia
Alessandro Barbaglia si diverte a intrecciare la sua vita fra le carte, come romanziere, poeta e libraio e il suo libro, pubblicato per Mondadori nella collana “Narrative”, Nella balena, è l’ultimo risultato di questa sua naturale inclinazione.
Saper penetrare nelle profondità del racconto e cavarne fuori il nitore perlaceo di una scrittura delicata e, al contempo, brillante è mestiere da subacquei cerca-tesori: continuando sulla stessa linea metaforica, come un palombaro con la sua tuta si cala nelle fosse verso il fondale, allo stesso modo Barbaglia, con lo scafandro della tradizione letteraria, scende verso gli abissi di un pensiero fisso. Nei Ringraziamenti – siamo nella parte finale – racconta che, da bambino, non sapeva discernere «un’ossessione da una rana» poiché aveva conosciuto un tale, «amico dei [..] genitori che aveva rane ovunque» («lo zerbino di casa sua era una rana, e così il dispenser del sapone in bagno, le tovagliette da pranzo, le spugne, l’accappatoio, i quadri, i cuscini e persino il suo grande letto matrimoniale»), a cui si era abituato a portare altre rane in regalo, come per fomentare una segreta e curiosa mania, fino a farlo impallidire. Analogamente, il giovane scrittore afferma di essere cresciuto con la fissazione delle balene.
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Questo romanzo è un delicato canto d’amore per quest’ossessione avventurosa e letteraria: a partire dagli eserghi capiamo quanto il mito della balena abbia pervaso le nostre letture, le nostre vite e la cultura mondiale a partire dal mito del Leviatano, contiguo ai racconti sul Caos primordiale.
Se andare «a vedere» una balena non è «niente di speciale» come scriveva Paul Gadenne, riprendendo le parole di Sergio Claudio Perroni sentiamo, invece, che la forza impetuosa e forsennata dell’ossessione, della caccia alla balena è ciò che veramente ci tiene in vita, entrando anche nei nostri sogni colorandoli, informandoli, trasformandoli in arte.
Subito dopo, voltando pagina, rischiamo seriamente di essere catturati anche noi in questo viaggio: un’immagine ci colpisce. Sul bianco fa capolino una balena, o perlomeno la sua testa, con tanto di indicazione didascalica al suo interno, come per spiegarci che la testa del nostro romanzo è anche la testa del cetaceo.
E così, proseguendo nella lettura, continua anche il viaggio dentro il corpo dell’animale: lungo i fianchi, sino alla coda e poi di nuovo indietro, fino a uscire, con uno sbuffo, dagli sfiatatoi, insieme ad aria e vapore acqueo in condensazione.
Alessandro Barbaglia, giovane romanziere con la spiccata capacità di rendere le parole oggetti vividi, concreti e memorabili racconta la storia di due piccoli eroi: Cerro e Herman. Già i nomi sono indizio segreto e scoperto riferimento. In Cile si trova un sito paleontologico, in una zona collinare, denominato Cerro Ballena: lì giacciono le ossa fossilizzate degli antichi dominatori dei mari. Certo, nel libro scopriremo che il nome ha tutt’altra origine poiché si connette alla madre, appassionata di botanica e perita anzitempo. Herman, «il figlio dei pesci» porta il nome dell’autore di Moby Dick, Taipi, Omoo.
Cerro, orfano di madre, a differenza di tutti gli altri bambini, gioca «a invecchiarsi»: vuole assomigliare al padre e quando passa davanti allo specchio coi capelli imbrillantinati, i mocassini e la camicia bianca allacciata fin sotto il collo pensa con orgoglio «Sembro un vecchio di dodici anni»: vive a Novara insieme al babbo Emilio e a Santina, una simpatica domestica napoletana.
Herman, nella Chicago degli anni Trenta, agita la sua zazzera di capelli talmente biondi da parere bianchi e i suoi «occhi pazzeschi […] assorbono tutto» quello che gli gravita attorno, sia esso profumo di fieno, odore di polvere da sparo, barrito d’elefante o lama di coltello. Ancora puro, ingenuo, incapace di discernere il falso dal vero, il bimbo contribuisce al successo della grande acrobata Bird Millman, che vuole «il cielo come teatro» e «gli dèi come spettatori». In questo mondo circense di fiaba Herman cresce e fra questa «gente che conosce la bellezza e la meraviglia delle proprie imperfezioni, dell’essere persino dei mostri, come tutti», fra questi «congiuranti alla tirannia del normale» si fa strada Goliath, la stessa colossale balena che segnerà la vita del piccolo Cerro, anni dopo, in un futuro che Herman non avrebbe mai immaginato.
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Altro non posso aggiungere, se non un ultimo consiglio al lettore incerto davanti all’ebbrezza di tuffarsi fra le pagine di questo libro: Barbaglia dosa i toni dell’ossessione e li mescola magistralmente con la leggerezza di una scrittura piana e al contempo immaginifica, evocativa, capace di regalare le vivaci atmosfere perdute da vecchio film in bianco e nero e i toni dell’apparentemente monotona ma in realtà coloratissima età contemporanea. Leggetelo, vi piacerà.
Per la prima foto, copyright: Flavio Gasperini su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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