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“Nel nome della pietra”, Cristina Fantini e l’epica costruzione del Duomo di Milano

“Nel nome della pietra”, Cristina Fantini e l’epica costruzione del Duomo di MilanoCon Nel nome della pietra (Piemme, 2020) Cristina Fantini ha scelto di raccontare un momento molto particolare della storia di Milano, sua città d’adozione: quello in cui, negli ultimi decenni del quattordicesimo secolo, Gian Galeazzo Visconti, da poco impadronitosi del potere dopo aver eliminato lo zio e suocero Bernabò Visconti, di cui aveva sposato la figlia Caterina, diede l’avvio alla costruzione di una grande cattedrale che prendesse il posto dell’antica chiesa di Santa Maria Maggiore, ormai in rovina e giudicata non più all’altezza della potenza e del prestigio della città.

Si tratta di un grande romanzo corale che si può accostare a La cattedrale del mare di Ildefonso Falcones (che celebrava la costruzione della chiesa di Santa Maria del Mar a Barcellona), e che dà voce agli artefici dell’impresa milanese: dagli uomini e donne di potere alla schiera di ingegneri, scultori e falegnami tra i migliori del loro tempo, impegnati materialmente nell’enorme cantiere edile, aperto nel cuore di Milano sotto la guida dei famosi maestri campionesi (provenienti da Campione, sul lago di Lugano).

 

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Intorno a loro, Cristina Fantini ha ricostruito abilmente la vita della città nel quattordicesimo secolo, descrivendo usi e costumi degli abitanti, monumenti e quartieri che oggi purtroppo sono in gran parte scomparsi, come ci ha raccontato in quest’intervista.

 

Come ha deciso di scrivere un libro proprio sulla costruzione del Duomo di Milano?

Il Duomo mi ha sempre affascinata: la sua mole, le guglie, le statue, l’interno maestoso. Qualche anno fa mi chiesero di scrivere un racconto su Milano per una raccolta fondi da destinare a un’associazione di beneficenza. L’argomento era “Chi vive a Milano, racconta Milano”. Scrivere sul Duomo mi venne naturale e in quelle poche pagine immaginai una visita all’antico cantiere da parte del signore di Milano, Gian Galeazzo Visconti.

Le ricerche che feci e i testi che consultai stimolarono la mia curiosità. Sono un’autrice di romanzi storici, non poteva essere altrimenti, compresi che volevo saperne di più, volevo conoscere a fondo la storia della cattedrale milanese e raccontarla.

 

In chiusura del romanzo lei ha scritto di essersi basata soprattutto sulla consultazione degli Annali della Fabbrica del Duomo. Come ha operato la scelta delle figure storiche da inserire nel romanzo? Ci sono stati spunti o personaggi che ha preferito lasciare da parte?

Gli Annali sono stati guida e punto di partenza per le mie ricerche, i testi che ho consultato per la stesura del romanzo sono tantissimi, tutti indispensabili per avere un quadro del contesto e dei personaggi che vissero e operarono nel cantiere del Duomo nei primi decenni.

Gli Annali sono simili al diario di bordo scritto dal capitano di un vascello: una cronaca quotidiana del cantiere, atti, acquisti, lutti, amministrazione, persone. Grazie alle ricerche ho cercato di inserire gli attori principali, realmente esistiti, connettendoli con i personaggi inventati e creare l’illusione che fossero reali.

Una “sospensione dell’incredulità” che permettesse ai lettori di vivere a quel tempo e “partecipare” alla vita del cantiere.

Quelle citate nel romanzo sono le figure più rappresentative: ingegneri, artisti, falegnami, maestri della pietra che diedero al progetto l’impronta che resterà costante lungo la plurisecolare vicenda costruttiva del Duomo, creando un’immagine tanto caratterizzata che nessuno, nelle epoche successive, avrà più la forza di modificare.

In un romanzo, è evidente, si devono operare delle scelte e queste scelte sono state fatte per dare coerenza e credibilità alla trama cercando di rendere la storia fruibile per tutti. Spero, a chi vorrà approfondire la storia, di aver offerto un accattivante punto di partenza, perché sul Duomo c’è molto da scoprire.

“Nel nome della pietra”, Cristina Fantini e l’epica costruzione del Duomo di Milano

Molte sono le descrizioni minuziose della vita quotidiana, dell’abbigliamento, degli interni delle case dell’epoca. Si è ispirata alle immagini dell’arte oppure ad altri testi?

Per le descrizioni dei luoghi, dell’abbigliamento, di quello che è il “set” del romanzo ho fatto ricerche sia artistiche, e mi riferisco alle molte opere pittoriche che mostrano scorci di vita del tempo, sia a testi e saggi specialistici sul Medioevo.

 

Qual è stata la difficoltà maggiore che ha incontrato nel dare voce a personaggi vissuti in un’epoca così lontana da noi nel tempo?

Un autore, quando scrive, è come se si distaccasse dalla realtà per vivere in prima persona la vicenda che sta narrando nel romanzo. La difficoltà non è stata quella di dar voce ai personaggi ma di scegliere IL PERSONAGGIO in cui identificarmi per osservare il mondo fittizio della storia narrata attraverso i suoi occhi. Come diceva Edward Morgan Forster, un personaggio è reale quando il romanziere sa tutto di lui. Quasi subito ho capito che chi avrebbe potuto condurmi in questo viaggio nel passato era monsignor Anselmo, uno dei protagonisti.

“Nel nome della pietra”, Cristina Fantini e l’epica costruzione del Duomo di Milano

Nella sua narrazione la costruzione del Duomo diventa un grande progetto di coesione, un’affermazione dell’identità di una città. Può esistere ancora qualcosa del genere nelle metropoli contemporanee, oppure viviamo in luoghi troppo vasti e compositi per poterne ricavare un senso di appartenenza?

La costruzione di una cattedrale era un’impresa non solo economica e di prestigio ma soprattutto religiosa. Nel caso del Duomo l’intera cittadinanza volle partecipare con denaro o con il lavoro. Singoli cittadini si presentavano al cantiere per offrire il loro contributo, senza nulla richiedere in cambio se non un pasto caldo. Credo che nei momenti di grande difficoltà, come quelli che stiamo vivendo, si possa ritrovare lo spirito di coesione e di collaborazione che caratterizzò Milano anche nel passato.

Il senso di appartenenza c’è, dobbiamo solo impegnarci a riscoprirlo.

 

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Da milanese ho spesso la sensazione che la mia città, a differenza di altre, non sia abbastanza consapevole del suo importante passato, ma sia sempre fin troppo proiettata sul presente e sul futuro. Lei cosa ne pensa?

Sono d’accordo. Milano per molti anni ha guardato solo a sé stessa proiettata nel futuro relegando in un angolo il passato. Alla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento si è abbattuto, ricostruito, cancellato. Basti pensare che nel XIX la chiesa di San Giovanni in Conca è stata demolita, lasciando solo la porzione dell’abside visibile oggi in piazza Missori; lo stesso destino è toccato all’antico quartiere del Bottunuto, situato nei pressi di piazza Diaz, demolito a partire dagli anni ‘30 del Novecento. Per non parlare dei Navigli, che sono stati quasi completamente ricoperti dall’asfalto e dal cemento.

Scelte di “modernità” e piani regolatori che guardavano solo al progresso hanno privato per sempre Milano di luoghi storici, di angoli suggestivi, di edifici, di chiese. Forse solo in questi ultimi anni la città sta guardando al proprio passato, riscoprendo ciò che per tanto era stato dimenticato. Molti sono gli interventi fatti e in programma per riportare alla luce, quando possibile, il glorioso passato di Milano. La mia speranza è che tutti questi progetti vengano portati a termine.

La vera identità di Milano è in parte nascosta, sta a noi riscoprirla per amore verso la nostra città.


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Per la prima foto, copyright: Daniil Vnoutchkov su Unsplash.

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