Nel nome del figlio. “Zodiaco Street Food” di Heman Zed
Zodiaco Street Food di Heman Zed, edito da Neo. edizioni nella collana “Dry”, è un romanzo che ruota intorno alla figura di Romeo Marconato, ex mafioso della Mala del Brenta, zotico e insofferente nei confronti della moglie Gigliola. Troppo tardi, o forse no, scoprirà l’importanza di accogliere il figlio Moreno, di ascoltarlo.
Succederà di tutto tra Venezia e un hotel di Mosca: intrecci di luoghi e situazioni che portano in scena una donna fatale, ex spia russa, e il super chef televisivo Vitiello. Dialoghi e personaggi paradossalmente divertenti. Ritmo sincopato sui tramonti di una selvatica provincia veneta contemporanea: morti, rabbia, violenza, tradimenti e voltafaccia fatali. Poi, delicato e commovente, il perdono…
«In un mare di maglie oversize strette da cinture in vita, minigonne, scaldamuscoli e capelli piastrati, era stato facile notare i jeans sdruciti, la giacca di pelle e la t-shirt di Gigliola», siamo negli anni Ottanta: come ha lavorato sui tempi e sul look che ci fa indovinare l’epoca?
È stato uno scavo nella memoria. Ho chiuso gli occhi e mi sono ricollocato a metà degli anni Ottanta all’uscita del mio o di qualsiasi altro istituto superiore. Ogni subcultura era degnamente rappresentata dal proprio look. Io ero nel gruppo jeans sdruciti e chiodo, Ramones style.
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«Seduto sulla poltroncina del cinema Astra per iniziare la visione del film Più strano del paradiso di Jim Jarmusch. […] E, da quel momento, anche la sua JVC avrebbe dovuto cogliere solo l’essenziale, […] La necessità dell’essenziale»: il giovane studente Grandis, futuro coautore del programma televisivo che tenterà di ospitare Romeo, si va interrogando sulla necessità dell’essenziale. In queste pagine ci sono molti riferimenti alla musica, al cinema e alla filosofia. E lei, come si è rapportato con la necessità dell’essenziale nei confronti delle sue influenze extraletterarie e della stesura del romanzo?
Di sicuro le influenze extraletterarie hanno contribuito in maniera importante alla costruzione dell’autore. Musica, cinema, libri, accompagnano il mio vivere da quasi sempre. Poi, dall’età della ragione, ho fatto la scelta di campo su tutto ciò che veniva definito underground. Ho frequentato gli stessi ambienti di Grandis, ne ho assorbito l’essenza, per tornare alla domanda. In qualche modo i miei personaggi sono sempre ai margini, non sono mai protagonisti assoluti della società. Rispetto al centro, il margine non è mai una comfort zone, ma offre spunti di riflessione molto più interessanti. Ai margini ci si nasconde meno, si è più veri e vivi. Credo sia questo il tratto distintivo di tutti i miei lavori e di tutti i personaggi che creo.
«L’ingresso in casa [di Moreno, il figlio di Romeo e Gigliola] era coinciso con la salita del trip, sulla generosa base di coca e anfetamine», e poi «Il campanello di casa suonò mentre [Larisa, l’ex spia russa] era intenta a leggere i nomi del direttivo del consiglio d’amministrazione»: nel romanzo ci sono molti di questi momenti in cui lo stato interiore del protagonista coincide con una situazione esterna, spia di un perfetto calibrarsi dei personaggi sulla misura del mondo. Cosa ci può dire a proposito?
È quella che viene chiamata azione secondaria del personaggio. La uso spesso per dare maggiore verosimiglianza e spessore ai tratti che già si conoscono. In effetti è proprio un calibrarsi sulla misura del mondo. In breve: siccome l’azione si svolge in un tempo e in un luogo, trovo interessante descrivere la reazione dei personaggi in relazione alle due dimensioni.
««Non posso crederci, porco casso!» disse a voce alta allacciandosi la cintura durante la fase di rullaggio. [Romeo Marconato] era al limite della tenuta nervosa»: come è nato Romeo Marconato, questo bizzarro e bellissimo personaggio?
Romeo è un puzzle di vari personaggi, di varie facce, di modi di parlare e di agire. Non è un personaggio facile, come non facile è stato costruirlo e dargli vita. Avevo in mente delle linee di massima, poi ogni voce o viso o movenza che reputavo utili venivano trasformati in tasselli da comporre.
Anche questo è stato un lavoro di ricerca della sintesi, dell’essenzialità. Almeno sei persone, conosciute e non, hanno concorso alla creazione di Romeo.
«Ma soprattutto aveva avuto senso tutto ‘sto casino? Era quella la domanda che più lo tormentava: ne era valsa la pena seminare sette morti?» che risposta potrebbe dare, secondo lei, la letteratura alla domanda fondamentale: perché si muore?
Spesso si dà alla letteratura o alla poesia o alla filosofia il compito di rispondere ai grandi quesiti dell’umanità. Sul morire e la morte si sono sprecati interi millenni e interi volumi. L’uomo non ha creato i culti religiosi per darsi una risposta al morire? Il fatto è che si tratta dell’unica situazione non esperienziale; si sa la risposta solo dopo l’avvento della morte ma non si può fornire alcuna riflessione oggettiva. Direi che si muore perché, assieme al nascere, è la cosa più naturale che esista, che ci mette in totale relazione con l’Universo. Forse per rispondere a questa domanda avremo bisogno di qualche ciclo evolutivo in più.
«Moreno, […] finalmente accortosi del padre, lo abbracciò con tanta forza quasi da soffocarlo. Romeo si lasciò guidare dall’istinto: accarezzò la testa del figlio, cercando di tranquillizzarlo.» Come ha operato su questa graduale trasformazione caratteriale, per cui vediamo il protagonista, villano e violento, crescere, in qualche modo, evolversi, e lontano dall’assumere gli aspetti di una macchietta pulp convince con la sua ritrovata delicata paternità?
Non definirei Romeo una macchietta. Penso che nel suo caso sia più appropriato parlare di maschera. Romeo è un abile indossatore di maschere ed è abile a indossarle al momento giusto. La trasformazione c’è perché Romeo è più complesso e meno basico di quanto appaia. Ha una certa etica e lo dimostra, è capace di sentimenti veri e lo dimostra. A volte, come nel caso della presa di consapevolezza su ciò che è stato ed è il suo rapporto col figlio, ha bisogno di un catalizzatore, di qualcuno che lo metta di fronte alle sue responsabilità. Ed ecco che dimostra anche una certa abilità, nel toglierla, la maschera.
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«E allora se non c’è nessun problema, io pensavo di andare a Venezia da Salvadori [ex famoso contrabbandiere della Baia del Re, ora famoso ristoratore,] a farmi una fritturina.» Nei ringraziamenti compare il nome di Mirco Salvadori: è un omonimo? o c’è qualche relazione tra i suoi personaggi e la vita reale?
Come ho già detto, tutti i personaggi che creo prendono spunto dalla vita reale. Si tratta poi di trasformarli da reali a verosimili per esigenze drammaturgiche. Poi, a volte introduco riferimenti puramente reali che sono piccoli momenti di divertimento. In realtà Mirco Salvadori non ha mai fatto né il contrabbandiere, né il ristoratore. Oltre a essere un carissimo amico, è una figura storica dell’ambiente musicale e letterario underground italiano. Ma è anche un veneziano doc di Cannaregio, nato e vissuto non distante da Sacca S. Girolamo (la Baia del Re), amante della buona cucina e che nelle movenze e nei tratti mi ha sempre ricordato un contrabbandiere di lungo corso. Un cameo era d’obbligo.
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