Nel mondo delle madri surrogate. “La fabbrica” di Joanne Ramos
Madre surrogata è colei che porta a termine una gravidanza per conto di altri. La surrogazione della maternità non è una pratica consentita ovunque: vi sono Paesi in cui tale pratica è vietata (come ad esempio in Italia) e Paesi in cui, essendo la surrogazione legale, esistono agenzie che si occupano di mettere in contatto la madre surrogata con i genitori richiedenti la gestazione, nonché di stipulare il contratto tra le due parti e di ogni aspetto burocratico concernente il caso.
I dibattiti sull’argomento sono molteplici. Ad essere contestato è principalmente lo sfruttamento di donne che vivono in difficoltà economica e che scelgono di affittare il proprio utero in cambio di denaro. La maternità surrogata rappresenta, infatti, un vero e proprio business; basti pensare che in America il costo di una gravidanza surrogata si aggira tra i 130 e i 160 mila dollari. Oggi giorno l’utero in affitto risulta essere la massima degenerazione della modernizzazione capitalistica. L’economia si è impossessata di tutto, persino dei nostri corpi, i quali sono diventati merci di scambio. Da anni il movimento femminista si batte per l’abolizione della surrogazione di maternità in tutto il mondo, poiché la ritiene una pratica che calpesta la dignità della donna e che va contro i diritti non solo delle donne, ma anche dei neonati.
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Con il suo romanzo d’esordio La fabbrica (traduzione di Michele Piumini, Ponte alle Grazie), Joanne Ramos indaga le ragioni che stanno dietro la decisione delle donne di affittare il proprio utero, scelte che possono assumere significati differenti a seconda dell’etnia e della classe sociale delle persone coinvolte, dato che sono quasi sempre questi ultimi fattori a determinare il controllo che una donna può esercitare sul proprio corpo.
La vicenda si svolge a Golden Oaks (Querce dorate), un resort in campagna per madri surrogate in cui le Ospiti, sono donne caraibiche, filippine, o dell’Europa dell’est, mentre i Clienti appartengono alla classe benestante americana, e in cui alloggiano pure Scout, ovvero coloro che trovano le Ospiti, «come i cacciatori di teste. La Farm ne ha una squadra al servizio. Hanno scout per le Filippine, per l’Europa dell’Est, per l’Asia del Sud, per le Isole…»
È a Golden Oaks che le madri surrogate vivono durante i nove mesi di gestazione, avvolte in abiti di cachemire e nutrendosi di cibi prelibati. Fanno inoltre attività fisica e sono monitorate ventiquattro ore su ventiquattro grazie a un bracciale che segna ogni loro battito cardiaco. La routine quotidiana prevede: «pasti, meditazione, ginnastica, visite mediche, incontri sulla gravidanza». Tutto ciò è necessario per assicurarsi che i feti crescano in modo sano e che nascano bambini forti e robusti, dato che i futuri genitori hanno pagato migliaia di dollari per assicurarsi che ciò avvenga. In cambio di tale servizio, che non è altro che una vera e propria transazione economica, le madri surrogate ricevono uno stipendio e a “consegna avvenuta” un bonus. Tuttavia, prima di varcare le porte del resort, devono abbandonare i cellulari e rinunciare a ogni contatto con il mondo esterno. Golden Oaks può essere paragonata dunque a una prigione di lusso, studiata in ogni minimo dettaglio per «massimizzare il potenziale fetale».
A colpire in questo romanzo attualissimo più che mai e di oltre quattrocento pagine, è la dissezione fatta dall’autrice tra due mondi differenti: da una parte vi sono donne che accettano di diventare madri surrogate perché hanno bisogno di denaro per mantenere se stesse e le loro famiglie e dall’altro vi sono invece le Clienti, ricche americane che non possono o non vogliono, o perché impegnate con la carriera o perché preoccupate di mantenere il proprio aspetto fisico, partorire figli di cui tuttavia hanno bisogno per conformarsi alle aspettative sociali in cui vivono.
Joanne Ramos sceglie di alternare la narrazione in capitoli che riportano il nome delle quattro protagoniste del romanzo, presentandoci così diversi punti di vista sull’argomento. Vi sono Jane, ventenne filippina con una bambina e senza un soldo, e Reagan, discendente di una famiglia facoltosa. Mentre per Jane la maternità surrogata è uno strumento per guadagnare i soldi necessari per iniziare una nuova vita negli Stati Uniti, perché in America «devi solo trovare il modo di fare i soldi. E coi soldi tu puoi comprare tutto il resto», per Reagan invece è un modo per non dipendere più economicamente dal padre. Vi sono poi Mae e Ate: la prima, una manipolatrice laureata all’Harvard Business School, gestisce questa fabbrica di bambini e crede che non ci sia sfruttamento laddove c’è una scelta consenziente; Ate, invece, che in tagalog significa “sorella maggiore”, è una babynurse con forti capacità imprenditoriali, che per molti versi somiglia a Mae facendole da controparte dalla parte del basso ceto economico. Si tratta dunque di due Ospiti, una filippina e una statunitense e di due imprenditrici.
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L’alternanza nella narrazione pone in rilievo non solo la dicotomia vigente tra classi e etnie sociali, ma consente anche di interrogarsi da più punti di vista, su quanto di noi stessi e del nostro corpo si è disposti a vendere in cambio di un compenso economico. Se è vero che queste madri Ospiti accettano di propria volontà di mettersi al servizio della classe dominante per denaro, occorre comunque riflettere sul fatto che spesso è proprio la necessità economica e la mancanza di alternative sostitutive a portare a tali decisioni. Gli esseri umani sono in realtà meno liberi di quanto credano e «a volte le uniche alternative sono quelle più difficili, come quelle che ha scelto Jane», la quale per tutta la durata del soggiorno a Golden Oaks non potrà vedere la propria figlia di sei mesi e tutto ciò solo per assicurarle un futuro migliore.
È sempre il denaro a far da padrone, poiché è con esso che si può comprare o vendere qualunque cosa, persino vite umane. Con questo romanzo coinvolgente e sarcastico Joanne Ramos lo dimostra pienamente, gettando luce su una società che giorno dopo giorno diventa sempre più priva di valori etici, ma che prima o poi dovrà fare i conti con le conseguenze delle proprie scelte.
Per la prima foto, copyright: Arteida MjESHTRI su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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