Narrativa e giornalismo d’inchiesta. “Ma la sabbia non ritorna” di Laura Calosso
Giornalista e scrittrice, Laura Calosso, con il suo nuovo volume, Ma la sabbia non ritorna (Sem Editore), affronta un tema sconosciuto ai non addetti ai lavori, le mafie della sabbia, e lo fa avvicinando con abilità il giornalismo d’inchiesta e il grande romanzo.
L’autrice astigiana, già nota per il suo volume La stoffa delle donne, il cui tema ha ispirato anche un’inchiesta del programma televisivo Report, con questo nuovo libro conferma la volontà di costruire testi che non siano indifferenti a tematiche sociali e problemi ambientali e utilizza la narrativa per renderli fruibili al grande pubblico.
Il tema centrale del volume infatti è l’urgente problematica del traffico di sabbia, una risorsa scarsa e limitata, e proprio per questo molto ambita, soprattutto da organizzazioni criminali che senza scrupoli dragano fondali, depredano spiagge, rubano isole, svuotano laghi, devastano delta di fiumi.
Sabbia che non ritorna e che serve a costruire megalopoli di cemento direttamente sull’oceano (Singapore) o isole artificiali (Dubai) e, senza andare troppo lontano, l’autrice cita fra le righe la Versilia o la Liguria, dove ogni anno le spiagge si riducono ed è normale vedere ruspe e mezzi pesanti ricostruire il bagnasciuga per i turisti che arriveranno nella stagione estiva.
«Voglio occuparmene perché il mare si sta innalzando, il mondo costruito con il cemento è prossimo al crollo e non c’è più sabbia per ricostruirlo.»
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Elena, la protagonista del romanzo, è la figlia proprio di uno di questi criminali. Un padre avido che deprederà la sabbia del posto in cui vive, che toglierà da sotto ai piedi le dune naturali ricche d’elicriso, dove Elena è cresciuta, che per denaro sarà disposto a insabbiare anche la morte del piccolo Luigi, avvenuta nella cava da lui gestita.
La perdita del fratellino è il trauma con il quale Elena conviverà per tutta la vita; se da una parte il personaggio è dilaniato dai sensi di colpa, dall’altra, una volta diventata adulta, si dedicherà al giornalismo d’inchiesta portando avanti un’indagine proprio sulle mafie della sabbia.
La vita di Elena si consumerà anche in un amore sbagliato, quello con Fabio, destinato a fallire in partenza perché basato sulla distanza fisica ed emotiva; l’amore che fugge ed è fragile come le coste derubate di granelli che non ritorneranno mai più.
La storia d’amore diventa in sé la metafora della sabbia; entrambi materiali preziosi, di cui prendersi cura, perché una volta distrutti è inutile cercare di trattenerli, costruendo moli, frangiflutti, barriere. L’amore, come la sabbia, ha un ciclo naturale che, se viene interrotto, sparirà per sempre.
La relazione con Fabio, che a differenza di Elena è egoico e banalizzatore, rappresenta anche il punto di stasi della vita della protagonista, che non vede i difetti dell’altro e il divario culturale che li separa, ma rimane sulla superfice, portando avanti una storia che la distoglie dal dolore della sua infanzia, e dal modo di superarlo una volta per tutte.
«L’amore è simile alla sabbia che ricostruisce le spiagge. Il mare la trascina via e per colpa nostra non torna indietro. Siamo costretti a cercarla altrove, lontano dal luogo d’origine. È una risorsa scarsa, proprio come l’amore di cui abbiamo bisogno per proteggerci dal dolore. È per evitare la desolazione che siamo obbligati a procuracela ad ogni costo, a riportarla sul bordo dell’oceano per salvarci dalle onde. Una sola certezza abbiamo: veder fallire ogni nostro nuovo sforzo.»
Laura Calosso ha tratteggiato i personaggi a immagine e somiglianza delle sabbie che scompaiono: protagonisti fragili, spezzati, soli.
Così come le immagini anche la narrazione è a tratti poetica, ma allo stesso tempo capace di farsi fisica e dura come l’acciaio. Pare di vedere le coste devastate, la sabbia che si trasforma in calcestruzzo e le città come mostri che si mangiano la terra fino a gettarsi a picco sul mare. Un mare che non perdona, che rivuole ciò che è suo e che gli è stato tolto.
La sabbia che non ritorna a causa dell’uomo, come le occasioni perdute, gli amori lasciati andare, ti amo non detti e gli abbracci non dati.
«Elena guarda di fronte a sé e rivede la spiaggia di Freetown due mesi dopo il furto di sabbia. Il mare che s’insinua fra la vegetazione raggiunge le case, abbatte i muri e li sbriciola. Sente le urla delle persone che corrono in strada, forse sono gli stessi ladri di sabbia o chi li ha comprati con l’omertà. Davanti a lei, nei suoi pensieri, c’è anche lo scheletro della spiaggia di Malika vicino a Dakar, ci sono le pietraie su cui prima si stendevano le morbide sabbie del Marocco. Vede il mare che ricopre ciò che un giorno fu la bianchissima spiaggia di Coral in Giamaica, spogliata e poi portata via con camion caricati fino all’orlo per cinquecento viaggi.»
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Ma la sabbia non ritorna è un testo nel quale l’indagine cede il passo al romanzo, dove i personaggi non sono stati creati ad hoc per giustificare l’inchiesta, ma viceversa, è la storia che viene fuori attraverso i protagonisti; il risultato è un libro necessario ma estremamente appagante, dalla prosa raffinata, dalle immagini potenti ed evocative, nel quale, in ogni riga, le parole sono scelte con estrema cura.
Leggere questo romanzo è come stare continuamente in bilico, in apnea fra le parole, con un senso di disorientamento, di stupore e anche di rabbia nei confronti di una situazione ecologica che è sotto gli occhi di tutti, ma abilmente celata.
Un romanzo che ha nel suo cuore un grande tema ambientale, che riesce ad aprire gli occhi del lettore su qualcosa che si vede ogni giorno, la sabbia; che si dà per scontata, ma che sta già scomparendo ad altissima velocità e che rischia di non ritornare mai più.
Per la prima foto, copyright: Anton Sharov su Unsplash.
Per la terza, la fonte è qui.
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