Nadine Gordimer, our countryman
Nell’ultimo articolo, uscito sul «The New Yorker» lo scorso dicembre, Nadine Gordimer consegnava ai lettori il suo ricordo di Nelson Mandela, raccontando come avevano cominciato a scriversi. Fu a causa di un romanzo dell’autrice sudafricana: Burger’s daughter (pubblicato in UK nel 1979), arrivato in qualche modo (il libro era stato vietato in Sud Africa) fin nella prigione di Robben Island dove Mandela fu rinchiuso per 27 anni. Mandela rimase colpito dalla storia e scrisse una lunga lettera alla Gordimer che arrivò alla scrittrice tramite l’avvocato George Bizos. Da qui inizia una sintonia non solo letteraria fra due grandi simboli della lotta per la libertà che ha visto protagonista il Sud Africa negli ultimi cinquant’anni.
«I ‘m not a saint, unless you think a saint is someone who keeps on trying» [Non sono un santo, sempre che tu non creda che un santo sia qualcuno che insista nel provare].
È una frase di Nelson Mandela, rivelatrice di una delle sue caratteristiche principali: la tenacia.
La tenacia è una dote necessaria per un sognatore che non si accontenti dei propri sogni, ecco perché è una caratteristica fondamentale per uno scrittore. Serve a connettere la necessità di creare universi paralleli rispetto alla realtà che lo circonda. Serve a raccontare una storia che sia capace di scuotere chi la legge, contribuendo a un cambiamento. La tenacia non è mai mancata a Nadine Gordimer, fin da quando era piccola e correva per il bush sudafricano con il suo taccuino stretto fra le mani, pronta a raccogliere tutte le parole che le correvano intorno, come se fossero springboks (specie di antilopi, nonché simbolo della nazionale di rugby sudafricana) e Nadine un ghepardo costantemente affamato. Da quelle corse e da quella caccia alle parole perfette sono nate le storie che hanno offerto per decenni una delle poche viste possibili su un regime basato sull’apartheid (in lingua afrikaans, letteralmente “separazione”) che ha tentato, con altrettanta tenacia, di distruggere ogni voce contraria alla propria.
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La voce di Nadine Gordimer ha avuto solo un apparente stop lo scorso 13 luglio, quando l’autrice di Buerger’s Daughter e premio nobel per la letteratura, ha lasciato questa realtà per dedicarsi esclusivamente agli altri mondi che la circondavano. Ma la sua anima è sempre lì, in mezzo al bush, a inseguire parole, parole che potremo sempre trovare nei suoi libri e nelle scelte che attraverso questi ci chiedeva di realizzare, scelte che puntavano a dimostrare un altro degli assunti di Nelson Mandela: «It always seems impossible until is done.» Ossia “Sembra sempre impossibile finché non viene realizzato.”
Per questo, parafrasando il titolo del suo articolo in memoria di Mandela (Mandela, my countryman), ci rivolgiamo a Nadine Gordimer, pensando a lei come a una nostra connazionale e un nostro punto di riferimento nel territorio della letteratura.
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