“Musica distante” di Emanuele Trevi
Edito per la prima volta da Mondadori nel 1997, il saggio del critico e scrittore Emanuele Trevi, Musica distante. Meditazioni sulle virtù, è stato recentemente ristampato da Ponte alle Grazie.
«Può la grande letteratura aiutarci a vedere l’invisibile?», recita il sottotitolo e queste pagine, da sorseggiare delicatamente come una pozione magica, sono un tesoro - spiega bene Trevi nella Prefazione alla nuova edizione - «una specie di museo privato, un catalogo di illuminazioni, la mappa di un paese impossibile, dove le forme del paesaggio sono decise dai passi di chi cammina». Pagine straordinarie di letteratura che il lettore rileggerà con altri occhi o scoprirà con stupore per la prima volta. L’indice del libro riprende il sistema delle virtù del mondo cristiano, teologali (fede, speranza, carità) e cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza), il cui declino semantico le ha private del loro significato originario, che Trevi illumina con grande sapienza e con prosa raffinata e matura.
Il modello è costituito dalle Lezioni americane di Italo Calvino, con il loro dedalo di citazioni e rimandi: «si tratta di incamminarsi in quella terra di nessuno […] nella quale il desiderio della bellezza e l’esigenza della giustizia inducono a ridefinire senza tregua i confini dell’identità […]. È a lettori incamminati in questa stessa direzione, e solo a loro, che questo libro si augura di finire in mano, strada facendo».
La prima ad essere celebrata è la Fede, la virtù del vedere e del non vedere. Amore e Psiche, protagonisti della celebre favola raccontata nell’Asino d’oro di Apuleio sono per Trevi strumento prezioso per cogliere il più profondo significato della fede. Psiche tradisce la promessa fatta al suo sposo – celebre la profezia di Amore «non videbis, si videris» – e, spinta dalla curiositas ma anche dall’inganno delle sue sorelle, scopre il volto dell’amato, sottraendosi, così, alla condizione fondamentale della fede: «la paziente accettazione di un ordine della realtà sottratto alla verifica dell’esperienza».
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Alla Speranza sono legate le parole che Giacomo Leopardi utilizzò nel 1825 per tradurre il Manuale di Epitteto, ma anche tutte le storie legate alla navigazione, pensiamo ad Achab in Moby Dick di Melville o al capitano di Conrad nella Linea d’ombra. Carità è quella che mostra il medico di Kafka nel racconto Un medico di campagna e san Giuliano l’Ospitaliere nella Leggenda omonima di Flaubert: non tanto la capacità di guarire, ma quella di tornare indietro, di fermarsi, con lo stesso sguardo con cui San Martino dona il mantello a un povero nell’affresco di Simone Martini.
La prima delle Virtù cardinali è la Prudenza, per antonomasia rappresentata da Bartleby lo scrivano di Melville e dal suo celebre diniego (I would prefer not to) in nome della tranquillità quotidiana, mentre il simbolo più potente del concetto di Giustizia sono le pagine de I morti di James Joyce, all’interno di Gente di Dublino. Nel racconto di Joyce la signora Gretta ascolta casualmente una musica e si ferma, è la stessa ballata che le cantava un suo vecchio fidanzato, morto forse per lei, e non può non ricordare, producendo il miracolo: «consegnata alla giustizia della lingua, la memoria del bene che fu diventa l’alimento prezioso della vita smemorata, del tempo che scorre».
Allegoria della Fortezza e della Temperanza sono lo sprone e il freno, come spiega Dante nel Convivio e come due quadri di Botticelli, “Pallade doma il Centauro” e “La fortezza” ben raffigurano. Ma le parole che più commuovono sono quelle della giovane ebrea Etty Hillesum, coraggiose nella loro normalità, come leggiamo nei Diari, pubblicati in Italia da Adelphi nel 1985: indimenticabile la descrizione del lager di Westerbork: «Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d’argento e d’eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio».
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