"Mosche d’inverno" di Eugenio Baroncelli
I finalisti al Premio Chiara (2)
Le riserve riguardo a Mosche d'inverno (Sellerio) di Eugenio Baroncelli sono grosso modo le medesime già espresse per la Guida agli animali fantastici di Ermanno Cavazzoni, ossia il prevalere dell’erudizione sulla narrazione – che rischia di aumentare la già abissale distanza tra i lettori italiani e le raccolte di racconti, o comunque di brani brevi. Come Cavazzoni, però, anche Baroncelli ci propone un’opera organica e piuttosto originale: la sua è una sorta di Antologia di Spoon River in prosa, il sottotitolo di Mosche d'inverno è infatti 271 morti in due o tre pose. Viene interpretata la vita di innumerevoli personaggi illustri (dall’antichità alla contemporaneità) attraverso la loro morte, ed è proprio la modalità in cui la Nera Signora si è presentata al loro cospetto a determinare la maggior parte delle sezioni del testo: Cari agli dèi, Cuori infranti, Di cosa?, Di freddo, Di gioia, Di spada, Di un male, Fantasmi, Folli, Fumatori, Insonni, Per acqua, Per caso e non per caso, Per fuoco, Per scelta, Vecchi.
Oltretutto, pur nella misura ridotta deliberatamente scelta (tanto che l’“epigrafe” di due paginette su Gideon Algernon Mantell è preceduta dall’avvertenza: «Mi scuserà il lettore? Se questa morte è troppo lunga, è perché non ho avuto il tempo di farla breve»), spesso vengono affastellate delle microstorie di grande suggestione, come per Julio Cortázar: «Parigi, 12 febbraio 1984. Muore finito dalla leucemia. Chissà se con lui finisce anche quel sogno, non esserci del tutto in quelle ragnatele che ci prepara la vita e in cui siamo un giorno ragni e un altro mosche»; o per Walter Benjamin: «Portbou, camera 4 dell’hotel Fonda de Francia, 26 settembre 1940. Alle dieci della sera lascia questo mondo, che lui, cordialmente corrisposto, non sopporta […]». Ma di esempi ce ne sarebbero innumerevoli altri, spaziando dalla mitologia alla storia antica, dallo sport allo spettacolo, dalle arti figurative alla poesia, dall’astronomia alla biologia, e giungendo persino alla biografia dell’autore (è il caso del toccante brano dedicato a Jolanda Mazzotti, sua madre): resta un mistero il criterio con il quale Baroncelli abbia scelto i suoi soggetti, così come disorienta un po’ l’ordine alfabetico all’interno delle sezioni, con conseguenti vertiginosi salti temporali – in Cari agli dèi, per esempio, a Efestione (324 a.C.) segue Évariste Galois (1832) o in Per caso e non per caso a Basilio I il Macedone (886) segue Cesare Battisti (1916).
In attesa di leggere e recensire la terza opera finalista del Premio Chiara, Una giornata al monte dei pegni di Elena Loewenthal, tra Guida agli animali fantastici e Mosche d'inverno la mia preferenza va aggiudicata “ai punti” (nessuna delle due mi pare in grado di un KO) al testo di Eugenio Baroncelli, se non altro per lo stile elegante e capace di subitanee epifanie: vedremo la giuria dei 200 lettori come la penserà – i tre finalisti sono invece stati selezionati da una giuria tecnica.
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