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“Morte ai vecchi”: conflitti del futuro

“Morte ai vecchi”: conflitti del futuroFranco “Bifo” Berardi e Massimiliano Geraci hanno scritto un romanzo sull’incomunicabilità: Morte ai vecchi (Baldini&Castoldi). Il linguaggio è venuto meno al proprio obiettivo: «L’enunciazione linguistica tende a diventare esercizio virtuosistico senza finalità di comunicazione né tende a preludere al contatto». La comunicazione intergenerazionale, poi, diventa una vera e propria impossibilità di comprendersi, e si trasforma infine in una caccia al vecchio da parte dei giovani.

C’è al fondo un’incompatibilità di esigenze: in un immaginario mondo del futuro gli anziani non vanno mai in pensione, non finiscono mai di lavorare mantenendosi in piedi a furia di pillole. I giovani, invece, crescono in una realtà totalmente virtuale, tutti i rapporti sono mediati dalla tecnologia, le loro emozioni filtrate dagli schermi dei dispositivi elettronici, mai espresse all’esterno. I vecchi sembrano voler continuare a mangiarsi tutte le risorse del mondo, togliendo la scena e lo spazio ai loro figli, nipoti. La distanza è esistenziale. A questo scenario già di per sé fragile si uniscono le subdole macchinazioni di due grosse case farmaceutiche, che promettono l’eterna giovinezza e la Felicità ai clienti, ma di fatto causano una vera guerra tra vecchi e giovani. L’Inside corporationsta cercando un metodo per mettere in comunicazione tra loro le persone, o meglio le menti delle persone, attraverso una rete biocellulare. L’empatia viene pilotata.

 

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“Morte ai vecchi”: conflitti del futuro

Ma in questo tentativo di lobotomizzare le menti dei giovani, c’è qualcosa che va storto: un piccolo dettaglio che in una stringa numerica non si scorge, e che va ascritto al fondo emozionale e spirituale che ogni essere umano continua a portare dentro di sé. «Ignoravano, gli scienziati sociali della Inside [...], che senza emozione non c’è relazione, che quando si disconnette la mente dal cuore, ogni comunicazione diventa afasica, e quando si disconnette il cuore corpo, be’… si muore”. A questa piccola scintilla di umanità, forse, dobbiamo aggrapparci.

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Bifo e Geraci hanno raccontato in questa distopia a quattro mani il disagio delle generazioni attuali, attingendo con eclettismo dal bagaglio letterario, artistico, musicale e filosofico contemporaneo; questa la specificità forse più interessante del romanzo, in un contesto autoriale in cui si scrive senza riferimenti, come se si potesse essere autosufficienti nella propria opera. E non si può non riconoscere anche la preziosità della scrittura del romanzo («Il cielo si inteneriva di pioggia... Il cilindro delle strade, gli interstizi della città, riempiti di un cielo fluido. Tutto vacilla, ondeggia, salvo le ramificazioni rettilinee che la pioggia traccia su questa trama mobile»), resa ancora più interessante dal fatto che è la risultante di due personalità di scrittori, di due stili, due idee. La resa è uno stile molto preciso, spesso tagliente, altre volte lirico.

“Morte ai vecchi”: conflitti del futuro

Nella complessità di questo romanzo, complesso da leggere, complesso da capire fino in fondo, gioca tanto la personalità e il retroterra culturale dei due scrittori: Franco Berardi è un filosofo e “agitatore culturale”, Massimiliano Geraci è esperto di cultura psichedelica e pop surrealism. Chi è a digiuno di quest’area molto circostanziata di conoscenze farà fatica a digerire bene il romanzo, accettandone tanti passi per l’appunto surreali, alcune situazioni nonsense, momenti topici. Se si passa indenni attraverso tutto questo, si può andare al nocciolo del romanzo, quel confronto generazionale che sentiamo tanto nostro durante la lettura. Morte ai vecchi è un’analisi circostanziata, proiettata nel futuro, di una mutazione antropologica che avvertiamo sulla nostra pelle nel nostro presente.

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