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Morire di cancro al Pronto Soccorso

Morire di cancro al Pronto SoccorsoSi può morire di cancro in un Pronto Soccorso? In Italia si può, è capitato al San Camillo, perché si può aspettare per ore, da malato terminale, di ricevere un letto, una cura, una testimonianza di umanità dal sistema sanitario nazionale.

È capitato a chi scrive di dover assistere un padre terminale su un letto di pronto soccorso, nell’ospedale di Bari, sapendo di non poter pretendere altro da un’azienda sanitaria compromessa come poche. Purtroppo, il sistema è questo e pare non esservi via d’uscita. Un sistema aggravato dai tagli alla sanità, dalle chiusure degli ospedali e dalla soppressione dei posti letto decretati dalle Regioni. Il punto è che il problema non sono i posti letto, ma l’eccesso di strutture doppiate, con relativi apparati accademici e baronali. Questi sdoppiamenti incidono sulla spesa, ma soprattutto sulla tenuta morale del sistema ospedaliero nazionale.

La morte al San Camillo è cosa di goni giorno, perché i reparti di Pronto Soccorso son divenuti veri e propri ricettacoli per ammalati di ogni genere. Sono un filtro che non filtra, da Roma (compresa) in giù. L’Italia della sanità è spaccata in due da sempre, conviene dunque porvi rimedio. E suona assurdo che, a pochi giorni dalla scandalosa campagna sul fertility day, la ministra Lorenzin sia chiamata in causa per rispondere di questo scandaloso decesso.

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Un decesso dentro il quale si condensa tutta la precarietà della lotta contro il cancro fatta nel nostro Paese. Una battaglia condotta da coraggiosi ricercatori ma soffocata da un’organizzazione sanitaria devastata, corrotta, radicalmente menefreghista. L’Italia delle centomila Asl non riesce a prendersi cura dei malati terminali. Anzi, ne decreta l’esclusione sociale abbandonandoli su un letto di fortuna, come fossero moribondi dopo una battaglia, vittime di guerra.

 

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Che Paese siamo? Che Italia è questa?È la stessa nella quale i medici operano in privato, giovandosi delle strutture pubbliche, evadendo milioni di euro al fisco. La stessa che non investe nell’eutanasia perché s’è votata al dolore. Ma chi patisce, chi patisce davvero, non son soltanto i malati terminali: sono soprattutto le famiglie e gli affetti degli ammalati in fin di vita, perché in essi resta il ricordo cocente di un maltrattamento protratto fino all’ultimo fiato.

Siamo un Paese immorale e marcio. Così come non ci occupiamo dei nostri monumenti, lasciandoli crollare miseramente al suolo, nello stesso modo ci liberiamo dei nostri simili sofferenti lasciandoli morire dove non dovrebbero. Questo è cinismo di sistema, non ci sono altre parole per definirlo. Perché di cancro al Pronto Soccorso non si deve morire.

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