Montale e i Baustelle. L’amore ai tempi della fine
Nella raccolta Le occasioni la guerra, con tutte le devastazioni che causa, è una minaccia palpabile ma ancora lontana, una spada di Damocle che oscilla minacciosamente sull’Europa e il mondo intero.
Nella Bufera e altro, raccolta successiva, invece il disastro è compiuto. Se tra i versi delle liriche delle Occasioni serpeggiano il terrore e l’inquietudine, che consumano nell’attesa di un pericolo ineluttabile, nella Bufera ecco che esplode, in tutta la sua ferocia, ciò che prima era solo temuto: un secondo conflitto mondiale.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito
La primavera hitleriana è sicuramente una delle liriche più famose contenute nella Bufera; in essa si percepisce l’ineluttabile fine dei «ciechi tempi», tempi che hanno visto sorgere e prosperare due demoniaci regimi totalitari: il fascismo e il nazismo.
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Siamo nel 1938, Hitler – il «messo infernale» – è in visita in Italia; in questa occasione viene accolto dai suoi «scherani» – uno dei sinonimi di questo sostantivo è assassini – che sventolano al suo passaggio la truce bandiera nazista: «un golfo mistico acceso/ e pavesato di croci a uncino».
In quel giorno si consuma la tragedia: il pericolo tanto temuto nelle Occasioni ecco che assume una sua forma precisa e definita. Ciò che però più atterrisce il poeta è l’impossibilità di poter frenare l’avanzata della fine.
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene, e l’acqua séguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto quel giorno parla di morte e di carneficina, di sangue e di guerra, di fine e di sacrificio di innocenti eppure nessuno, nemmeno «gli scherani» troppo impegnati a osannare colui che li porterà alla morte, riesce a prestare attenzione agli indizi, i chiari segnali della tragedia che si sta avvicinando. Sì, perché la fine è sempre preceduta dai segni che annunciano il suo arrivo.
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
Turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno […].
L’estate, stagione della spensieratezza, lascia il proprio posto al ghiaccio dell’inverno, la stagione della morte. Non c’è più felicità ma solo la disperata consapevolezza che nulla sarà più come prima.
Anche nella famosa canzone dei Baustelle, Il vangelo di Giovanni, la fine dell’estate richiama l’inizio della fine dei tempi.
C’è qualcosa nella fine dell’estate, non so bene che cos’è
e non riesco a respirare.
È un senso di smarrimento e di tristezza quello che si prova davanti alla crudeltà dei tempi presenti: «certe volte l'esistenza si rivela con violenza intorno a me/ e non la riesco a sopportare».
Quanto sono simili i tempi della Primavera hitleriana e quelli del Vangelo di Giovanni!
Continuando i Baustelle – questo è un marchio inconfondibile della loro poetica – descrivono uno scenario inquietante e apocalittico.
Giorni senza fine, croci lungomare
profughi siriani, costretti a vomitare
colpi di fucile, sudore di cantiere
[…].
Orde di stranieri, dentro le fontane
pianti di bambini, code all'altalene
In una simile situazione sia Montale che i Baustelle tentano di scovare la possibilità di una salvezza, utile per scampare dall’orda dei «mostri nella sera/ della loro tregenda».
[…]! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi
LEGGI ANCHE – L'eccezionale discorso di Montale al Premio Nobel
Il poeta rivolge allora i propri occhi – e la propria speranza – verso Clizia, alias Irma Brandeis: la donna da lui tanto amata. C’è forse una possibilità di salvezza: l’amore. Questo sentimento, così forte e profondo, per Montale è identico a quello descritto dai poeti del Dolce Stilnovo: capace di ingentilire ed elevare l’essere umano. «Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende» questo dichiara Francesca nel canto V dell’Inferno – e non è un caso che Dante sia citato nella Primavera hitleriana, soprattutto il verso «tu/ che il non mutato amor mutata serbi» è identico a «e 'l non mutato amor mutata serba» del sonetto che il poeta fiorentino dedica a Giovanni Quirini.
La stessa risposta si rivelerà anche ai Baustelle.
Io non ti conosco, ma ti voglio bene
[…].
Resta poco tempo per capire
il significato dell'amore.
La leggenda di Clizia, trasformata in girasole – «e gli eliotropi nati/ dalle tue mani» – parla di amore; così anche il Vangelo dell’apostolo Giovanni, soprannominato appunto il discepolo dell’amore perché la trattazione di questo sentimento occupa gran parte dei suoi scritti.
L’amore ingentilisce, ci connette agli altri e soprattutto rivela perché esso è collegato alla verità, per quanto questa possa apparire a volte scomoda.
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbàcini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti.
Clizia osserva in alto, come il girasole che punta il suo sguardo verso il sole che conserva dentro di sé la scintilla divina capace di illuminare la triste condizione nella quale versa un’umanità che necessita di una rigenerazione. In molte liriche della Bufera Clizia si fonde indissolubilmente con l’immagine di Dio che è amore e verità.
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Anche Giovanni nel suo vangelo parla della verità; per i Baustelle solo l’amore e la verità possono salvare dall’«idiozia di questi anni» attraverso un
[…] suono che slegato dal cielo, scende, vince –
col respiro di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud…
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