Monitorare i social network per prevenire i suicidi?
Un progetto che sfrutti l’analisi predittiva per valutare il rischio di suicidio di un individuo. Questa l’idea alla base del Durkheim Project, che combina aggiornamenti di stato su Facebook, attività su Twitter, modifiche al profilo di LinkedIn per ricavare da essi un indice di “benessere mentale” del soggetto monitorato.
Com’è ovvio, non è detto che un disagio si espliciti con chiarezza negli interventi di un utente su una delle piattaforme considerate. È necessario dunque assumere numerosi fattori, oltre a non includere nell’analisi frasi o post iperbolici. A molti di noi, infatti, sarà capitato di scrivere su Facebook qualcosa del genere: «Se tra cinque minuti il vicino non avrà smesso con la musica neomelodica, mi suicido». In un caso simile, il sistema del Durkeim Project provvederebbe a individuare una mancata correlazione con altri fattori “di rischio”, come ha puntualizzato Chris Poulin, responsabile del progetto.
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In questa prima fase, l’iniziativa sta tenendo in osservazione un gruppo di militari, veterani e non, gruppo all’interno del quale il rischio di suicidio è considerato alto. Non è un caso, peraltro, che i finanziamenti provengano dalla DARPA.
Obiettivo di questa raccolta di dati, arrivare a centomila partecipanti, e continuare a sviluppare il sistema per cercare di renderlo più accurato; con, all’orizzonte, l’idea di riuscire a individuare per tempo un imminente rischio di suicidio, e magari lanciare un allarme.
Guardando per un attimo al Durkheim Project con una prospettiva un po’ più ampia, in effetti l’idea che i nostri interventi in Rete siano costantemente elaborati per sapere quanto “stiamo bene”, non sarebbe proprio esaltante, no?
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