Mircea Eliade, un uomo scisso tra il diurno e il notturno
Mircea Eliade fu un pensatore enigmatico, una figura senza alcun dubbio misteriosa. Fu uno spirito aperto in un secolo, il Novecento, lacerato dai due conflitti mondiali, un uomo non ancorato ad una particolare religione, pur avendo egli stesso posto le basi per quell’importante disciplina che è la Storia delle religioni, un individuo oggetto di forti controversie nel dibattito letterario, ma che proprio per tutte queste ragioni non può che incuriosire ed affascinare. Ad attrarre in particolare gli studiosi è sempre stato il suo dualismo creatore.
Lo stesso Eliade amava definire se stesso come un uomo scisso tra il diurno e il notturno, ove per diurno s’intende l’attività di storico delle religioni e per notturno quella di scrittore. La produzione letteraria non fu mai un’attività marginale e secondaria: lo dimostrano sia le testimonianze autobiografiche sia la continuità dell’intera produzione. È significativo il fatto che, a differenza di Eugene Ionesco e di Emil Cioran, come lui appartenenti in Romania alla Nuova Generazione, la Generazione del ’27, Eliade sia rimasto fedele alla lingua delle origini, il romeno, e ciò a scapito di una sua più immediata ricezione nel contesto francese nel quale si era inserito in seguito al sofferto esilio. L’origine di tale scelta va ricercata nel timore di cadere in un freddo provincialismo culturale che a suo avviso lo avrebbe sterilizzato, ma anche nel fatto che per ogni esiliato la patria è la lingua materna che continua a parlare.
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Nel corso degli anni Trenta la vocazione per la scrittura si concretizza nella pubblicazione di una quindicina di opere narrative, tra romanzi, racconti e prosa diaristica, che si alternano alle prime opere scientifiche e ai libri di saggistica. È in questo periodo che lo scrittore conosce il successo grazie al romanzo Maitreyi e da inizio con il romanzo Signorina Cristina e poi, soprattutto, con Andronico e il serpente, al filone fantastico della sua narrativa, che da quel momento diverrà prevalente, se non proprio esclusivo. È la scelta della narrativa fantastica ad instaurare infatti un rapporto definitivo tra la produzione scientifica e quella letteraria, in un contesto in cui tale dualità diventa sempre più pregnante, tanto da portare lo stesso Eliade ad ammettere nelle proprie Memorie che gli riusciva difficile coesistere in due universi spirituali: la scienza e la letteratura, l’universo dell’uomo diurno e quello dell’uomo notturno, con il conseguente conflitto tra le esigenze del lavoro scientifico e quelle del lavoro letterario. Mircea Eliadesi muove dunque in due dimensioni parallele: il regno delle luci e il regno delle ombre. L’occhio del lupo lo guida nel regno delle ombre.
La licantropia gli mostra quel che succede nella notte occidentale, lo induce a portare fuori dai tempi moderni quel sacro a lui tanto caro che si è tramutato in ombra e che solo in Oriente risplende ancora di luce propria. La ricerca di un meriggio potrebbe anche spiegare i viaggi compiuti in India, durante i quali fu probabilmente in cerca di un’illuminazione dopo la constatazione del tramonto dell’Occidente. Eliade si propose d’individuare la sopravvivenza del sacro negli universi dell’immaginazione, una sacralità ignorata, camuffata e degradata. Un ruolo attivo in tale processo d’individuazione lo assunse la narrativa, in particolare quella fantastica. In Eliade la ricerca storico-religiosa e la ricerca letteraria sono due modalità autonome, eppure convergenti, di comprendere la condizione umana nelle sue aspirazioni di trascendenza e di libertà. Ciò che per lo storico delle religioni è il sacro degradato, camuffato e irriconoscibile, per il romanziere è il fantastico.
Alla dialettica sacro/profano affrontata lungamente dallo studioso, sul piano della narrazione si sostituisce la dialettica fantastico/quotidiano che ha come esito la scelta del travestimento, del camuffamento dell’irreale nel reale. Nei suoi romanzi Eliade riesce a ricreare un immaginario sacro e a mascherarlo all’interno dei profani labirinti quotidiani. Tutti i personaggi dei suoi romanzi sentono intuitivamente che una data parola o un dato oggetto è il significato di qualcosa, eppure essi non riescono mai ad afferrare tale significato o, se lo fanno, subito dopo scompaiono, diventano degli assenti, le cui sparizioni e i cui messaggi sono rimessi in discussione e devono essere reinterpretati dai personaggi rimasti presenti.
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È come l’incanto di un attimo in cui le cose sembra intendano svelarci il loro segreto, eppure tutto resta celato alle menti profane. I romanzi di Eliade intendono mostrarci dunque come è perché la rivelazione della dialettica sacro/profano, seppur suggerita, resta sempre impossibile da cogliere.
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