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“Mio salmone domestico” di Emmanuela Carbé

Emmanuela Carbé, Mio salmone domestico«Mio salmone domestico ha un cuore così tenero che si taglia con una motosega […] Detta così potrebbe anche sembrare che non esegua le sue normali funzioni battitive. Eppur, da un punto di vista strettamente tecnico, si muove». Mio salmone domestico (Laterza, 2013) dell’esordiente Emmanuela Carbé comincia con un Contratto con il lettoreun contratto nel quale l’autrice «si dichiara esonerata da ogni problematica di natura critico-interpretativa», e che il lettore è invitato a firmare prima di intraprenderne la lettura. Fin qui niente di strano, dirà qualcuno, se non fosse che il protagonista della storia, Crodo, è un salmone domestico nato il 22 dicembre del 2005.

Dopo tre paginette dedicate alla descrizione de Il condominio di mio salmone domestico, in cui viene spesa qualche riga per ognuno dei personaggi della storia («Dentista: ha tolto una carie a salmone domestico. Negli ultimi tempi ha consigliato a Salmone di valorizzare il sorriso con un paio di lenti a contatto»), comincia la sezione Manuale per la costruzione di un mondo, ovvero la storia vera e propria. A raccontarla è una voce narrante femminile che intrattiene un rapporto speciale con Crodo, un salmone che è molto più che un animale da compagnia, e che assomiglia piuttosto a un amico immaginato (ma non immaginario), a un grillo parlante (pardon, a un salmone parlante) e insieme alter ego della protagonista. «Ogni volta che io e mio salmone domestico andiamo in giro per la città a noi ci viene da ridere da soli perché a me sembra strano pensare a mio salmone domestico in mezzo alla gente e a mio salmone domestico pare strano pensare di essere un salmone domestico che gira per le vie della città». Lo pensa anche il lettore, per qualche pagina, fino a quando salmone diventa una presenza viva, che si addormenta su una cassettina di fragole (che diventa fragile quando, coricandosi, con la pinna nasconde la «o»), che dispone sempre di un’opinione personale sul mondo, e che è innamorata perdutamente di Medusa.

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Emmanuela CarbéSalmone e la protagonista affrontano insieme le avventure e disavventure della vita di tutti i giorni, gli incontri e gli innamoramenti, la ricerca di un lavoro e gli slanci creativi, le delusioni e il disincanto. In un continuo flusso di coscienza, che qui prende la forma di un dialogo serrato e sempre schietto con Crodo, le vicende della protagonista vengono analizzate da più angolature e poi sviscerate, fatte a pezzetti e ricomposte minuziosamente ancor prima di essere vissute. Il risultato è un’analisi critica della contemporaneità su almeno tre livelli: quello dei contenuti, o semantico; quello formale o stilistico; quello retorico-allegorico. Così ogni episodio delle loro giornate si carica di significati sempre profondi, e che sembrano sempre avere a che fare con un destino collettivo. «Questo per dire che i giovani d’oggi, rispetto a quelli di ieri, hanno una marcia in più, sono più maturi, meno arroganti, o dimostrano la loro arroganza la passività. Hanno già capito che non ci si può opporre a niente, e subiscono tutto, tutte le violenze di questo mondo, sobriamente, silenziosamente, inevitabilmente».

Un’analisi spietata e piena di disincanto che non si spegne in prossimità di nessun aspetto della realtà, sia esso strettamente personale o estensivamente collettivo, e che passa con disinvoltura dagli accessori Ikea «che fanno ambiente» a divagazioni letterarie sottili come la pinna di salmone. La tentazione di sollevare problemi del tipo «fiction, non-fiction, autobiografia, auto fiction, cartine tornasole, intertestualità letterarie» è davvero molto forte. Ma abbiamo firmato un contratto, salmone (almeno per ora) è salvo.

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