"Mi vivi dentro", come affrontare la morte della moglie. Intervista ad Alessandro Milan
Con Mi vivi dentro DeA Planeta, la casa editrice nata da una sinergia tra De Agostini e il gruppo spagnolo Planeta, inizia la pubblicazione di scrittori italiani, e lo fa scegliendo un libro altamente simbolico.
In questo romanzo, infatti, Alessandro Milan, giornalista e voce storica di Radio 24, racconta le ultime settimane di vita della moglie, Francesca Del Rosso, giornalista, blogger e scrittrice scomparsa a soli quarantadue anni il 12 dicembre 2016, a causa di un tumore, per il quale aveva subito diverse operazioni e si era sottoposta a lunghe cure. I sei anni di convivenza con il tumore sono stati raccontati da Francesca in un blog, Le chemio avventure di Wondy, tenuto sul sito di Vanity Fair allo scopo di condividere con altre donne la propria esperienza. Poche settimane prima di morire, Francesca detta Wondy aveva anche pubblicato il suo primo romanzo, Breve storia di due amiche per sempre.
A poco più di un anno dalla scomparsa della moglie, Alessandro Milan le ha dunque dedicato questo libro, in cui il resoconto della fase finale della malattia di Francesca si alterna sia alla ricostruzione della loro vita di coppia, da un primo incontro casuale al matrimonio, con la nascita di due bambini, fino al "percorso di dolore" intrapreso da chi è rimasto dopo la scomparsa della persona amata.
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Un libro senza dubbio triste, ma al tempo stesso pieno di momenti allegri e ironici, soprattutto non agiografico: entrambi i protagonisti ci appaiono come persone reali, con tutti i loro pregi e difetti. Alessandro Milan non nasconde né le proprie debolezze, soprattutto gli inevitabili momenti di sconforto prima e dopo la morte della moglie, né quelle di Francesca, una donna forte e coraggiosa, che però non ci viene mai descritta come un modello superiore.
DeA Planeta ha organizzato una grande serata al Teatro Dal Verme di Milano, con la partecipazione di Nadia Toffa e di Gioele Dix, che ha letto alcuni passi del romanzo.
Prima della presentazione al pubblico, Alessandro Milan ha risposto ad alcune domande dei blogger.
Qual è il messaggio principale che ha voluto dare scrivendo questo libro?
Il messaggio più forte che Francesca mi ha lasciato è quello della resilienza, che è una cosa molto diversa dalla resistenza: vuol dire adattarsi al dolore senza cercare di contrastarlo, riuscendo a essere comunque positivi e propositivi. Io sono sempre stato un pigro, mentre Francesca era molto propositiva, aveva sempre mille progetti in corso. Nello scrivere questa storia emerge qualcosa che mi è stato trasmesso, che mi ha fatto fare diverse cose dopo la morte di Francesca: creare un'associazione, "Wondy sono io", per diffondere questa cultura della resilienza, e un premio letterario, che verrà attribuito per la prima volta il 5 marzo.
Il libro è un racconto anche di sofferenza, ma non è per nulla una santificazione mia o di Francesca: è la nostra storia d'amore. I dolori sono nella vita di tutti, l'importante è cercare di riconoscerli, viverli ma attraversarli senza farsi sopraffare.
Questo libro parla di resilienza, ma anche di quel senso d'impotenza che coglie chi deve assistere una persona malata.
Stare vicino a una persona con un tumore non è facile. All'inizio ti senti Superman e credi di poter fare tutto, poi ti rendi conto che nessuno di noi è un supereroe. Anche Francesca, in principio, aveva cercato di affrontare la malattia da quella Wonder Woman che era sempre stata. Ho cercato di raccontare la difficoltà quotidiana di vivere l'ineluttabile e l'irreversibile della malattia, la difficoltà di stare vicino a una persona che soffre. Lo fai per l'altro, ma tu rischi di annullarti. Francesca però era un'ottimista, vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno e mi ha reso più facile starle vicino.
Francesca, con la sua personalità, ha influito anche sul suo percorso successivo?
Credo di sì. L'insegnamento da parte sua c'è stato, anche se non era del tutto automatico che in me potesse scattare tutta la voglia di fare che mi è venuta dopo.
Scrivere è senz'altro un modo positivo di reagire al dolore. È una risposta a lei o un messaggio a tutti quelli che hanno vissuto un'esperienza simile?
Più che una risposta, un insegnamento. Quanto al messaggio, io qui dico che ho seguito un percorso, ma non ho la presunzione di credere che sia quello più giusto, o che possa essere adatto a chiunque. Questa è la mia storia personale, la mia scelta personale.
Io ho capito che se mi fossi fermato davanti al dolore sarebbe stato come fermarmi davanti a un muro, ma un muro non si può spostare. Tu resti a guardare il dolore, il dolore guarda te, ma non se ne esce. Ho cercato dei pertugi per attraversare questo muro, e posso dire che adesso sto meglio.
Molte persone mi stanno scrivendo in questi giorni, per parlarmi delle loro perdite, e tutti trovano positivo il mio messaggio. Se posso incoraggiare qualcuno, la cosa mi fa solo piacere.
Cosa pensano i suoi figli di questo libro? Quando lo leggeranno, oppure lo hanno già letto?
Ai nostri bambini abbiamo sempre detto tutto, del resto è anche quello che ti consigliano gli psicologi in questi casi. Francesca non ha mai nascosto la malattia, nemmeno ai figli molto piccoli: quando è stata operata la prima volta, Mattia aveva due anni e le attaccava gli adesivi sulla testa rimasta senza capelli dopo la chemio.
Quest'estate, in Sardegna, mi vedevano scrivere e sapevano che stavo scrivendo un libro sulla loro mamma e sulla nostra famiglia. Hanno letto i libri di Francesca e ora vogliono leggere questo. Cercherò di capire come farlo, magari leggendo con loro i passi più difficili, anche se ora tutti li vedono come due bambini sereni.
In questo libro non ci sono rimpianti. C'è qualcosa di lei o della vostra storia che ha capito a posteriori o qualche rimpianto inespresso?
Sì, certo, ma cerco di non soffermarmi troppo su questo aspetto.
Nell'ultimo mese e mezzo di vita di Francesca mi sono chiesto se, potendo tornare indietro, non sarebbe stato il caso di affrontare anche con lei l'inevitabilità, perché tra noi c'è stato un dialogo senza parole. Entrambi sapevamo, ma non ce lo siamo mai detto. Forse avremmo dovuto dirci qualcosa di più, ma ormai tendo a non pensarci troppo perché indietro non si torna. Cosa fai quando sei vicino a una persona che se ne sta andando?
Cosa pensa di fare con l'associaizone "Wondy sono io"?
Facciamo, e speriamo di fare, tante cose. Abbiamo istituito il premio Wondy, e vorrei che fra cinquant'anni ci fosse ancora, come uno Strega o un Campiello. Francesca amava i libri, viveva per i libri e si definiva prima scrittrice, poi giornalista, blogger, mamma e forse, in fondo, anche moglie... Per me, creare un premio di letteratura resiliente con una grande giuria è stata importantissimo. La mostra fotografica "In viaggio con Wondy" sta girando per l'Italia e speriamo di portarla anche all'estero. Ho il sogno di fare uno spettacolo teatrale sulla resilienza per i bamibini, da portare nelle scuole: stiamo cercando il testo adatto.
Cosa intende per "letteratura della resilienza"? Quali sono i criteri per partecipare al premio?
Romazi che raccontano storie di resilienza, che però non vuol dire storie solo di malattia.
Tra i libri che hanno partecipato c'era, per esempio, il libro di un alpinista che raccontava una scalata molto difficile, quanto bisogna essere resilienti per compiere certe imprese sportive, e anche il libro di Alex Zanardi, personaggio straordinario.
La resilienza non si applica solo alle malattie, ma a tutti gli aspetti della vita, ai piccoli e grandi inciampi che ci possono capitare, come una storia d'amore difficile, la perdita del lavoro...
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Chi ha scelto i giurati?
Roberto Saviano lo conosco attraverso Radio 24, Ferruccio de Bortoli conosceva Fancesca da quando lavorava per il gruppo RCS, Paola Saluzzi è una grande amica, così come Chiara Gamberale, poi c'è Irene Bignardi, che fece una famosa intervista a Francesca nella sua trasmissione, di cui parlo anche nel libro.
Mi sembra che lei abbia fatto un grande sforzo perché Mi vivi dentro diventasse effettivamente un romanzo e non fosse solo un memoir, che poteva interessare solo chi ha conosciuto lei e Francesca.
La parte centrale è un presente narrativo che si svolge in ospedale, il passato affonda nella nostra storia ma il futuro è Alessandro Milan oggi, dopo. Ho cercato di raccontare cosa è rimasto, cosa rimarrà e si dovrà fare dopo il lutto.
I miei figli sono le mie ali verso il futuro e questo è il cuore dell'uomo nuovo, nato da quella sofferenza, che ho cercato di trasmettere. Mi trovo ad affrontare problemi senz'altro più complessi per un genitore solo, sono fortunato a poter contare su una rete di amici protettivi e credo che quelle parti del libro che parlano del futuro siano anche le più intense, perché raccontano ciò che è uscito dalla tragedia: il fatto che io e i miei figli siamo comnuque una famiglia. Diversa, nuova, ma sempre una famiglia.
Vedere la morte ripetutamente, come è capitato a lei che in pochi mesi ha perso prima un fratello e poi Francesca, le ha fatto cambiare atteggiamento nei confronti della morte stessa?
Sicuramente c'è più timore. Io sono solo e i miei figli sono ancora piccoli, non sono autonomi e per loro sarebbe grave se io dovessi mancare. Questo mi genera inevitabilmente parecchia ansia.
C'è stato un momento in cui sono stati i suoi bambini a darle forza?
Non nella modalità che possiamo immaginare noi adulti, ma ci sono spesso momenti in cui un adulto magari si chiude in se stesso a pensare, ma poi arrivano i bambini a riportarlo alla realtà, ed è questo il loro bello.
Wondy, il libro che Francesca ha ricavato dal suo blog, è stato importante per le donne malate di tumore.
Sì, ancora adesso ricevo lettere di donne che mi dicono di averlo trovato prezioso, perché trasmetteva un messaggio alla portata di tutte, in modo non specialistico e didascalico.
Com'è oggi il rapporto dei suoi figli con il ricordo della madre?
Ne parlano tanto, ma sempre in modo positivo e sorridente. Questa è una cosa che mi fa molto piacere, perché so che a volte in casi del genere ci sono delle rimozioni pesanti. È assolutamente un bene che parlino della loro madre in modo sereno.
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Per la prima foto, copyright: Bruno Aguirre.
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