“Mi ricordo” di Joe Brainard
Mi ricordo del pittore, poeta e scrittore Joe Brainard (1941/1994), edito da Lindau nella traduzione di Thais Siciliano, con la collaborazione di Susanna Basso, è un testo «senza trama e senza finale» per dirla con Anton Čechov. «Prendi qualcosa dalla vita reale, d’ogni giorno, senza trama e senza finale». Una citazione che racchiude il senso e l’essenza dell’opera di Brainard e che per questo è inevitabile ripescare dalla memoria durante la lettura.
Paul Auster nella prefazione parla di un’opera che trascende «ciò che è puramente privato e personale» ed è difficile dargli torto. Ognuno potrebbe produrre la propria versione di Mi ricordo, e non è necessario che sia scritta. Mi ricordo, ci ricordiamo, ogni volta che, a occhi chiusi o aperti, mettiamo in moto quell’ingranaggio perverso e meraviglioso insieme che è la memoria. Non si tratta, tuttavia, di memoria collettiva, e solo in via marginale di memoria condivisa. Il gioco è, fuor di metafora, molto più complicato, e implica la coscienza del fatto che siamo un particolare nell’universale, che quello che c’è in noi di individuale confina fatalmente con il complesso delle cose, avvenimenti, sensazioni. E se solo ci soffermassimo un po’ di più a riflettere su questo dato, ci renderemmo conto che in fondo a ogni diversità c’è similarità e che l’egotismo è quasi una negazione della nostra più intima identità.
Era questo l’intento originale di Brainard quando si è messo al lavoro su questo testo? Quanti scrittori possono, in tutta onestà, affermare di conoscere in anticipo l’anima e il carattere della propria ispirazione? L’ispirazione è una materia rarefatta, ancora una volta «senza trama e senza finale», o meglio, con tanti finali (e quindi conseguenze, eredità, scopi) quanti saranno coloro i quali avranno la fortuna di leggerla nella sua forma tangibile: la storia e il libro. Brainard, dal canto suo (è sempre Auster a riportarlo) provava una forte euforia dinanzi alla messa in prosa di quell’intuizione narrativa, e nell’estate del 1969 scrisse alla poetessa Anne Waldman: «In questi giorni sono eccitatissimo per un pezzo che sto ancora scrivendo […] Cioè, mi sembra di non essereio a scriverlo, ma che sia attraverso di me che vienescritto. Penso anche che parli di tutti quanti, oltre che dime. E questo mi piace. Cioè, mi sento come se fossi tutti».
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Perché se è vero che tutti possiamo dire di averedetto o ascoltato (e quindi ricordare), almeno una volta nella vita, la famigerata battuta «È l’ora di ieri a quest’ora», non è detto, invece, che tutti possano affermare «Mi ricordo il famoso pigiama party di Tab Hunter». Probabilmente non ricorderemo alcun pigiama party, famoso o no; magari odiavamo pure i pigiama party oppure desideravamo tanto essere invitati e non è capitato mai. E ancora: «Mi ricordo una barzelletta con Bernarda, Bruna e Rosa che finiva con “la bernarda di Bruna è rosa”» e c’è caso che, invece, questa barzelletta non la sapevamo ancora ma ora la racconteremo, e quando la racconteremoci ricorderemo di averla letta in Mi ricordo di Joe Brainard. Ed ecco in che senso questo libro parla di tutti e a tutti i lettori.
Ecco anche com’è possibile che un testo «senza trama» riveli, invece, una trama precisa e molto più coerente che in tanti altri romanzi a struttura narrativa tradizionale. Infanzia, sesso, famiglia, moda, cinema, tv, musica pop, la scuola, la chiesa, gli amici, la fantasia e la realtà, rappresentano il découpage di questa particolare sceneggiatura, montati con un ritmo disorientante, un assemblaggio depistante solo in apparenza: la vita non è una costruzione logica e Brainard ritaglia i ricordi e poi li incolla come cocci, senza timore di mostrare anche le crepe. Ma la delicatezza con cui lo fa, la felicità della parola anche quando scava il solco più dolente, è tale da rendere la composizione armonica al di là della sua struttura corpuscolare. È la narrativa del frammento, la concezione che il racconto autobiografico possa essere elaborato solo attraverso la brevità, lontano da ogni disegno precostituito; una prosa non estranea al modo pittorico, l’espressione più pertinente alla poliedrica disposizione artistica dell’autore; bozzetti, schizzi che tratteggiano sulla pagina un self portrait esauriente ancorché incompiuto. Incompiuto non a causa della morte prematura di Brainard nel 1994. Mi ricordo, infatti, è andato in stampa per la prima volta nel 1970 e più volte, negli anni a venire, l’artista è ritornato su quello che dal momento della sua uscita è diventato un libro cult, oltrepassando le generazioni, per i motivi che abbiamo già accennato ma anche per il suo valore testimoniale di un’epoca e di una cultura, quella americana, immortalate in questi stralci di vita vissuta e consegnati al ricordo dei lettori. Incompiuto proprioperché si tratta di un testo «senza trama e senza finale», ed è la sua stessa natura a imporre l’assenza di un finale, la dilatazione di ogni brano nel possibile soggetto di un romanzo da scrivere e riscrivere ancora.
«Mi ricordo molti settembre». E da questo settembre, per quanto mi riguarda, ricorderò la volta in cui ho recensito Mi ricordo di Joe Brainard.
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