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“Mi chiamo…” di Aldo Nove

Aldo Nove, Mi chiamoUn nome che non si può pronunciare, perché porta sfortuna e provoca sciagure. Dapprima una diceria che si insinua, poi un vero e proprio ostracismo che fa sì che Mia Martini non venga più invitata ai concerti e alle trasmissioni televisive. Si accumulano aneddoti sinistri e spesso fantasiosi (incidenti d’auto, un tendone carico d’acqua che cede, una camera d’albergo che va a fuoco), prove a carico di una cantante che porta sfiga. È questo il prezzo che l’artista deve pagare per il suo talento, per quella sua voce potente capace di trasformare i suoni in luce. «Cantare è dare senso alle parole. A tutte le parole del mondo». La sua condanna non prevede assoluzione e la porterà a togliersi la vita in circostanze ancora molto misteriose una sera di maggio del 1995.

Aldo Nove ripercorre così le vicende biografiche di Mia Martini in Mi chiamo…, (Skira 2013), e già nel titolo è enucleata la jettatura di quel nome che non si può pronunciare mentre i puntini di sospensione trattengono tutta la vicenda umana di una delle più grandi interpreti della musica italiana. «Mi chiamano “l’innominabile”. Hanno detto che il mio nome fa esplodere le lampadine. Che una mia telefonata è sempre un cattivo presagio. Questo, è stato detto. È stato ripetuto. Di bocca in bocca. Per anni. Come uno stillicidio nella mia mente. Avete detto che la mia presenza uccide». Da uno squallido appartamento di un piccolo paese della provincia di Varese, Mia racconta in prima persona la propria vita poche ore prima di morire. In due blocchi separati, l’autore affronta la biografia della cantante  narrando gli attimi finali di una vita che sta svanendo.

Una prosa paratattica tocca i punti salienti della vita di Domenica Berté, nata il 20 settembre 1947 a Bagnara Calabra, esattamente tre anni prima della sorella minore Loredana che, come lei, divenne una cantante affermata. Dalla Calabria la sua famiglia si trasferì nelle Marche, a Porto Recanati. I genitori non andavano d’accordo, litigavano continuamente, e nel 1958 il padre se ne andò di casa, lasciando la moglie da sola con quattro figlie femmine. Sarà un’assenza che Domenica, bisognosa dell’amore paterno, non saprà mai colmare. Sarà la madre ad accompagnarla a Milano a fare un provino in una casa discografica. Si esibì per un periodo col nome di Mimì Berté, finché Alberigo Crocetta, creatore del Piper 2000 di Viareggio, la ribattezzò Mia Martini: il Martini, dopo la pizza, è la parola italiana più conosciuta in America. Mia come Mia Farrow.

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Aldo NoveUna serie impressionante di successi e catastrofi iniziano a scandire la sua vita artistica. Nell’estate del 1969, viene arrestata in Sardegna per detenzione di hashish. Con Padre davvero (una canzone che per la rivista «Sorrisi e canzoni» ha il sapore di un “parricidio”) vince il primo premio al Festival di Viareggio del 1971, un raduno che vorrebbe somigliare a Woodstock; poi, con Piccolo uomo e con Minuetto, trionfa per due anni di seguito al Festivalbar. Accade tuttavia qualcosa che getta un’ombra funesta sulla sua storia: due musicisti della band che l’accompagnano in tournée muoiono in un incidente d’auto. È il 1971 e inizia a spargersi la voce che quella ragazza che va sul palco con una bombetta nera, già finita in carcere per droga, sia una jettatrice.

L’aurea negativa di questa diceria diventa una malattia dalla quale Mia non riesce a guarire, come il buio che la inghiotte. Aldo Nove dà a questo mal di vivere la sintassi e il ritmo di una poesia breve e secca, ove frequenti sono gli anacoluti del linguaggio parlato e le anafore, in una sorta di arrendevolezza dell’essere di fronte all’invidia altrui. I riconoscimenti si alternano alle disgrazie. Nel 1977-‘78 collabora con Aznavour. Agli inizi degli anni ‘80 si opera alle corde vocali. Nel 1982 a Sanremo, con E non finisce mica il cielo di Ivano Fossati, vince il Premio della critica, premio che dopo la sua morte le sarà intitolato. Nel 1989, torna a Sanremo, con Almeno tu nell’universo di Bruno Lauzi.

Mia si spegne, consumata dalla cattiveria di una notorietà di cui è stata vittima e capro espiatorio. «Dicono che mi sono uccisa. Non è vero. Mi hanno uccisa lentamente. Loro. Tutti voi». Atto di accusa ed epitaffio di una delle più belle voci del panorama musicale italiano.

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