Medea di Euripide eroina borghese
La tragedia di Medea, che ha avuto imitatori in ogni tempo, è basata fondamentalmente sulla figura della protagonista violenta e selvaggia nella passione, logica e spietata nella vendetta, fino al punto di uccidere i figli.
Nel mito Euripide riversa un nuovo senso della realtà, infondendo nelle figure del mondo mitico i propri sentimenti e la propria esperienza di vita. Questi contenuti portano alla trasformazione della materia mitologica che cessa di essere il mondo ideale e lo sfondo estetico-convenzionale così come fissato nella tradizione.
Nelle sue tragedie il poeta propone al pubblico una nuova dimensione dell’uomo, conformato alle categorie della comune realtà, alle prese con i problemi concreti della vita quotidiana.
Il matrimonio, il rapporto contrastato tra i sessi, gli assetti e i vincoli sociali, la libertà personale, sono alcuni dei temi approfonditi drammaturgicamente da Euripide. Pertanto nella poesia euripidea si può cogliere una sorta di profanazione della tradizione. Non a caso i suoi contemporanei lo criticarono aspramente, mentre gli studiosi moderni definiscono le sue opere come una sorta di borghesizzazione del mito.
Nella “Medea” tale evoluzione appare sostanzialmente compiuta. Il poeta sceglie una variante del mito che gli consente di inserire nella leggenda problemi ad essa ignoti e di tratteggiare nella figura di Medea non solo uno degli elementi primordiali della natura femminile, la gelosia, ma anche di mettere in risalto il tema dell’inferiorità sociale della donna in quanto tale e in special modo se straniera.
La Medea di Euripide cessa di essere il personaggio mitico che vive nella luce e nella prospettiva dell’eroe maschile e diviene l’eroina di una tragedia coniugale borghese, che non doveva essere infrequente nell’Atene del V secolo.
La protagonista euripidea appare subito come una donna sola e senza patria, una non greca, una barbara, che appartiene a una cultura diversa. Tale diversità culturale o semplicemente geografica, come avviene per molte donne anche ai nostri giorni, determina condizioni di emarginazione e di inferiorità e diventa spesso un pretesto per offendere i sentimenti che sono radicati nella natura stessa dell’animo femminile, quali amore e abnegazione. Accade spesso però che tali sentimenti, scambiati per debolezza e sottomissione, se esasperati, si trasformino in esplosione di violenza, laddove la scissione ragione-sentimento trova alimento nel delirio passionale o nel tarlo del rancore.
Per comprenderlo dobbiamo rievocare il percorso compiuto dall’eroina euripidea. Ella è originaria della Colchide, una regione caucasica sul Mar Nero situata oltre lo stretto dei Dardanelli e oltre Troia, quindi molto lontana dal mondo dell’Ellade. Medea dunque è una barbara in tutti i sensi: nel senso che non parla bene la lingua dei greci e proviene da una tradizione culturale completamente diversa da quella del marito Giasone. Ella s’innamora dell’eroe inviato alla ricerca del vello d’oro, gli promette aiuto ricevendone in cambio la promessa che la farà sua sposa non appena l’impresa sarà compiuta. Per amore Medea tradisce il proprio padre, abbandona la propria terra, rinuncia alle prerogative di donna libera e temuta. In cambio di tale completa dedizione fiduciosa al greco Giasone riceverà un ripudio quando il re di Corinto, Creonte, offre all’eroe il suo trono e la mano della figlia Creusa.
“Tutti così sono gli esseri umani! Ognuno al prossimo suo preferisce se stesso; e questo padre, per essere gradito alla nuova sposa, anche i propri figli trascura.”
Tradita e abbandonata, Medea dapprima argomenta con lucida razionalità, che quasi contrasta con la sua passionalità emotiva. Essa cerca comprensione nelle donne del coro, evidenziando la sua particolare condizione di donna barbara in esilio in un lungo monologo in cui inserisce una serrata dissertazione sulla condizione della donna greca nel V secolo. Ciò non le fa dimenticare le emozioni di cui è preda che anzi costituiscono un più motivato reticolo in cui collocarle.
“ …questo evento che mi è capitato all’improvviso mi ha distrutto la vita. Ho perduta ogni gioia di vivere e desidero solo morire. Colui che per me fu tutto, il mio sposo, è divenuto il più vile degli uomini. Di quanti esseri al mondo hanno anima e mente, noi donne siamo le creature più infelici. Bisogna che noi compriamo un marito a peso d’oro e lo prendiamo come padrone del nostro corpo. E questo dei due mali è il peggiore. E poi: sarà buono oppure no? E una donna che venga a trovarsi tra nuove leggi e costumi deve essere un’ indovina per sapere quale sia il miglior modo di comportarsi col suo compagno.
…L’uomo poi, quando si stanca di stare coi suoi di casa, uscito mette fine alle sue noie. Noi, invece, sempre in casa!. Dicono poi che noi donne, vivendo in casa, viviamo senza pericoli, mentre l’uomo ha i pericoli della guerra. Ragionamento insensato! Vorrei tre volte trovarmi in battaglia, anziché partorire una volta sola.
…Ma non vale per me e per voi lo stesso discorso. Voi avete qui patria, casa, amici…io sono sola, senza patria, offesa dal marito che mi portò via da una terra straniera come una preda…non ho madre, non ho fratelli o parenti come riparo da questa sventura. A voi chiedo: troverò il modo di far pagare a lui la giusta pena del male che mi ha fatto? Voi tacete: la donna è spesso piena di paura, inadatta alla lotta, e rabbrividisce alla vista di un’arma. Ma quando sia offesa nell’amore coniugale, non c’è altro cuore più del suo assetato di sangue.”
Sicché, incapace di dominare il suo animo, Medea nutre una furia senza pari e così, prendendosi gioco di chiunque intralci il suo piano, cela nel cuore il macabro progetto di uccidere i figli avuti dall’infedele Giasone fino al momento propizio per attuare la sua atroce vendetta.
Molto difficilmente questo insano gesto può essere ritenuto un gesto d’amore, ma paradossalmente lo è.
Amando Giasone oltre se stessa, lo avvolge come un’amante divoratrice diventando per i figli una madre possessiva. Si tratta di un registro di passione che solo le donne conoscono? Forse non più, come ci insegna la cronaca, purtroppo!
Tuttavia Medea è una creatura destinata all’espiazione: straniera, diversa, seminatrice di morte ma anche vittima, corpo estraneo in una società chiusa, compatta, tesa unicamente all’incremento della propria ricchezza. Quello che incarna la principessa colchide è uno slittamento continuo, un movimento che corre sempre sul confine tra bene e male, tra delitto e innocenza.
Infatti, quando Giasone corre a vendicarsi dell’atroce delitto, ella viene sottratta alla sua ira dalla dea della maternità, Hera, che la trasporta su un carro alato presso il suo tempio, perché dia ai corpi dei figlioletti la giusta sepoltura. Chiaro segno del perdono divino.
“Io li voglio seppellire con queste mani; li porterò nel tempio di Hera Acraia, perché nessuno dei nemici possa recar loro oltraggio, profanare la loro tomba. E qui nella terra di Sisifo per i tempi a venire istituirò feste solenni e riti ad espiazione di questo empio assassinio.”
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