Maurizio De Giovanni presenta “Gli occhi di Sara”, la nuova avventura di Sara Morozzi
Con Gli occhi di Sara (Rizzoli, 2021) siamo arrivati al quarto volume della serie che Maurizio De Giovanni sta dedicando all’enigmatico personaggio di Sara Morozzi, ex poliziotta dei Servizi Segreti ormai in pensione, che si ritrova suo malgrado ad affrontare misteri rimasti a lungo irrisolti.
Questa volta Sara si trova a vivere un momento personale davvero drammatico: a Massimiliano, l’unico nipotino avuto da un figlio perduto, è stata diagnosticata una malattia senza possibilità di guarigione, di fronte alla quale tutti i medici finiscono per arrendersi. Ci sarebbe, forse, una remota possibilità di salvezza, ma è nelle mani di una persona difficilmente contattabile anche per una donna tenace e caparbia come Sara. Se poi il presente sembra ricollegarsi a un passato lontano ed estremamente doloroso, la lotta contro il tempo per salvare il nipotino diventa anche una lotta contro tutti i peggiori fantasmi che Sara possa ritrovare nella sua memoria.
Come sempre, Maurizio De Giovanni costruisce una storia in cui elementi in apparenza lontanissimi tra loro si avvicinano progressivamente, fino a incastrarsi in un meccanismo narrativo perfetto. E, come sempre in occasione di ogni uscita di un suo romanzo, lo scrittore ha chiesto di incontrare un gruppo di blogger, in questo caso su una piattaforma online, per parlare a lungo della nuova storia e dei personaggi che ha creato e rispondere alle numerose domande.
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Leggendo i suoi romanzi trovo una similitudine tra il personaggio di Sara Morozzi e quello del commissario Ricciardi: lui vede i morti, lei legge la verità sui volti degli altri in quanto esperta del linguaggio non verbale. Non so se questo sia, in definitiva, un dono oppure una dannazione, ma quanto è importante che riescano a vedere oltre le apparenze?
Il protagonista è un mezzo, un veicolo per entrare dentro una storia, sia per lo scrittore, sia per il lettore. Dotarlo della capacità di vedere e raccontare certi aspetti della realtà che non sempre si vedono per me è una cosa giusta. La sensibilità si può accentuare in tanti modi, con la vendetta, che implica una forte partecipazione personale, oppure con l’amore o la rabbia. Invece dei sentimenti, in Sara uso una competenza professionale: lei utilizza una facoltà che esiste ed è studiata scientificamente, cioè l’interpretazione del linguaggio non verbale. C’è chi l’applica in vari modi, anche nello spettacolo, e Sara lo faceva nel suo lavoro nei Servizi Segreti, dove ora si utilizzano altri sistemi: il suo collega Andrea, che è cieco, ha una competenza ancora maggiore, come spesso accade ai non vedenti che sviluppano eccezionali forme di sensibilità.
Come per Ricciardi, questa capacità di decifrare la realtà al di sopra degli altri non è un bene, perché, a dire la verità, le bugie abbelliscono la realtà. Un mondo di eccessiva verità, dove sei costretto a vedere la gente com’è davvero, per me non è poi così bello.
In questo libro sembra di avvertire un cambio di passo rispetto ai precedenti, soprattutto nella scelta di allargare il campo d’azione dei personaggi al di fuori dell’Italia e di andare a scavare in un momento storico preciso, l’inizio degli anni Novanta, che adesso ci sembrano già molto lontani ma sono stati fondamentali per tutto ciò che è accaduto nei paesi dell’Europa dell’Est (qui si parla della Romania) dopo la caduta del muro di Berlino. Come mai ha scelto questo argomento?
Volevo vedere Sara davvero sul campo mentre finora era stata abbastanza contemplativa. Facendo due conti sulla sua età, Sara doveva aver iniziato a lavorare nei Servizi proprio nel 1989, perciò nel periodo del grande cambiamento. Ho cercato un evento accaduto a Napoli in quel periodo e ho trovato la visita di papa Giovanni Paolo II, un momento forte perché quel papa era stato uno degli artefici del crollo dei regimi dell’Est europeo. La Romania all’epoca, come altri paesi, mandava degli studenti, in genere figli di alti dirigenti del regime, a studiare all’estero, per cui c’erano in effetti queste piccole comunità di stranieri nelle università italiane anche prima dell’Erasmus.
Mi è spiaciuto solo non approfondire di più questi personaggi, come avrei potuto fare in un romanzo non di genere e non vincolato a certi limiti di pagine, perché il tema mi ha appassionato molto.
«Il destino esiste all’indietro» è una frase che compare nel libro ma sembra un tema ricorrente anche nei romanzi precedenti di Sara: il presente trova la sua soluzione nel passato. Questo sarà il filo conduttore di tutta la serie?
Scrivendo questo romanzo mi sono reso conto con orrore che il 1990, che per me è ieri, in realtà è stato trent’anni fa. Ho pensato al famoso effetto farfalla sulle concatenazioni degli eventi, che secondo me vale più ancora in senso temporale che spaziale: se un ragazzo austriaco non fosse stato respinto all’esame di ammissione dell’accademia delle belle arti, forse non sarebbero morti sei milioni di ebrei trent’anni dopo.
Sara nasce come personaggio che guarda inevitabilmente al passato: è in pensione e ha alle spalle trent’anni di lavoro nei Servizi, ma tutto quello che è accaduto o non accaduto in quel periodo ha avuto influenza sulla sua vita. Il mondo sarebbe stato migliore o peggiore se certe azioni fossero state differenti? Per me è bellissimo ragionare su questi rapporti di causa ed effetto. E poi c’è anche il presente che si riflette sul futuro: il nipotino cambia radicalmente il rapporto di Sara con il suo futuro.
In questo libro si sconfina nello spionaggio. Sta esplorando nuove strade?
Ci sono dei modelli inarrivabili che noi scrittori cerchiamo di scimmiottare.
Per Ricciardi, io penso a Stephen King e alla sua capacità di immettere l’irreale nel reale e lo straordinario nel quotidiano. Per i Bastardi di Pizzofalcone penso a McBain, e alla sua immensa capacità di portare avanti storie corali senza perdere di vista nessuno dei personaggi.
Per Mina Settembre penso invece a Westlake e all’uso impareggiabile che fa dell’ironia. Quando scrivo di Sara il mio sogno è Le Carré, per la sua capacità di scrivere per frammenti, che alla fine magicamente compongono un quadro perfetto, come se facesse un puzzle usando un microscopio. Da lettore appassionato di questi quattro maestri mi piace pensarli mentre scrivo.
Sara è sempre più vera e viva. Quando ha iniziato questa serie aveva già l’idea di esplorare il suo passato?
Dico sempre che le serie nascono solo grazie ai lettori, che decretano il successo di un personaggio e ne richiedono un seguito. Tutti gli scrittori sono felici di poter scrivere storie perché lavorano nel già noto, ma al tempo stesso a ogni nuovo libro possono approfondire il personaggio e scoprirne ruoli imprevisti. Di sicuro, quando ho scritto il primo romanzo non potevo immaginare come sarebbe stato il quarto!
È fondamentale continuare a sviluppare il mondo circostante, perché non esiste un personaggio così forte da vivere senza un mondo attorno: Ricciardi vale per Maione, Loiacono per Ottavia o Alex, Sara per Viola.
Il fatto di portare avanti serie diverse per me è meraviglioso perché posso esplorare mondi diversi, come se avessi le chiavi di tutti gli appartamenti di un condominio ed entrare ora nell’uno, ora nell’altro.
Anche questo romanzo intreccia vicende che si svolgono in tempi diversi. Come mantiene la padronanza dei vari piani temporali?
Io programmo molto poco. Credo di avere il beneficio di un metodo che mi fa scrivere in poco tempo. Io lavoro per assoluta immersione, mettendo un impegno totale in quello che scrivo, per cui è difficile che mi dimentichi quello che ho scritto nei capitoli precedenti, dato che l’ho fatto pochissimo tempo prima.
Un tema ricorrente in tutti i suoi libri è quello della perdita: tutti i personaggi perdono qualche persona cara. Perché è così importante?
Racconto personaggi dalla maturità in poi, quando le perdite entrano a far parte della vita. La perdita ti cambia e non è una cosa che puoi superare completamente. Prima accetti il cambiamento e prima superi la perdita: la persona che perdi diventa una presenza diversa che devi accettare per quello che è.
Per raccontare un personaggio in modo realistico devi quindi includere anche le perdite che ha subito, che lo rendono quello che è diventato.
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Nei suoi libri ci sono ambienti profondamente tristi e personaggi tormentati. Come riesce, col carattere esuberante che ha lei a entrare in sintonia con questi personaggi?
Io sono in effetti tutt’altro, sono Maione e non Ricciardi. Però, quando andavo a scuola a parlare con i professori dei miei figli, mi divertivo a notare come le mamme cercassero di spiegare i figli ai professori, come se loro, che trascorrevano con i ragazzi diverse ore ogni giorno, non li conoscessero. Ma poi ho pensato che le mamme, anche se magari lavorano e passano con i loro figli meno ore al giorno dei professori, li conoscono perché vogliono loro bene. Un autore, se entra in un rapporto affettivo profondo con i suoi personaggi, è in grado di raccontarli anche se sono molto diversi da lui.
Nella sua evoluzione da un romanzo all’altro, mi sembra che Sara sia diventata quasi un’icona femminista, la voce parlante di tante donne che hanno vissuto situazioni simili alla sua.
Sara cambia perché è una persona viva. Da un romanzo all’altro sta cominciando anche a rileggere il suo passato e questo potrebbe portarla a rivedere di conseguenza le sue prospettive future. Sono curioso di vedere come mi verrà in mente di farla evolvere in futuro, perché ora ha una carica di femminilità ancora attiva che non compariva nelle storie iniziali. Forse perché io trovo intriganti le donne della mia età che hanno l’orgoglio dei loro cambiamenti, che non si tingono i capelli, che vestono come desiderano senza pensare alle mode, che hanno una sicurezza che manca alle giovani.
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Per la prima foto, copyright: João Ferrão su Unsplash.
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