Maurizio De Giovanni ci racconta il mondo di Sara e la sua nuova avventura
Le parole di Sara (Rizzoli, 2019) di Maurizio De Giovanni esce a un anno di distanza dal primo volume di questa nuova serie di romanzi noir, con cui lo scrittore napoletano ha inaugurato la collana Nero Rizzoli, destinata a ospitare romanzi di genere di collaudati autori italiani e di esordienti di qualità. Ritroviamo quindi Sara, donna invisibile, che dopo aver lavorato per molti anni in un servizio segreto e averlo lasciato di sua volontà per assistere il compagno malato fino alla morte, torna in pista per aiutare Teresa, l’ex collega e amica di gioventù che ora è a capo del loro vecchio ufficio. L'inossidabile Teresa ha intrecciato una relazione con Sergio, un affascinante ricercatore molto più giovane di lei, che improvvisamente scompare, senza però che la cosa sembri preoccupare più di tanto chi lo frequentava. Teresa chiede aiuto alla vecchia amica, che con Davide Pardo, ispettore di polizia un po' bislacco, e di Viola, la giovane fotografa che ha messo al mondo il nipotino di Sara dopo la tragica morte del figlio Giorgio, si ritrova ben presto immersa in una torbida storia di politici senza scrupoli e trafficanti di uomini.
Maurizio De Giovanni è uno scritttore che ama profondamente il contatto con il folto pubblico dei lettori, dei quali racconta con affetto gli episodi che l'hanno colpito nel corso delle presentazioni dei suoi romanzi in giro per l'Italia. Allo stesso modo è molto sensibile alle opinioni dei blogger, come ha dimostrato nel corso dell'incontro a Segrate, nella sede del gruppo Mondadori-Rizzoli, il giorno dell'uscita di Le parole di Sara organizzato da Michele Rossi, responsabile Rizzoli per la narrativa italiana.
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Oggi ci ritroviamo per parlare della seconda puntata delle avventure di Sara, che abbiamo tenuto a battesimo sempre qui un anno fa.
Sono felice di essere in mezzo a voi perché per me i lettori del noir sono una famiglia strana e diversa: esiste un gruppo di lettori così interattivo con i propri scrittori, non c'è una coesione così grande tra scrittori e lettori di genere.
Il genere nero italiano oggi è un movimento, ma si finge di non accorgersene: non se ne accorgono né la letteratura alta, né i premi letterari, né i salotti, e neppure i grandi critici che continuano a considerare con supponente distanza un movimento che invece è il più fecondo, il più immediato, forte e vivo della letteratura italiana contemporanea.
Il romanzo nero italiano è il grande modo di raccontare questo paese per strada: nessuna letteratura racconta così. Le parole di Sara ha, nella mia stessa produzione, un elemento di novità assoluta: è il mio primo libro manifestamente politico, nonostante sia una storia. Noi dobbiamo raccontare le storie e i sentimenti, ma all'interno di questi c'è una precisa rilevazione di quello che succede, come fa il romanzo nero italiano, con fredda certezza, senza abbellire e senza imbruttire quello che si può pensare, ma raccontandoappunto una storia.
L'Italia è un paese non raccontabile nella sua interezza, è frammentata. Il romanzo nero racconta le città, e c'è un motivo per cui ci sono autori forti per ogni regione, che vivono un rapporto anche affettuoso tra loro perché non sono in concorrenza. Come si può pensare che un mio libro sia in concorrenza con uno di Manzini, o Carrisi, Carofiglio, De Cataldo, Lucarelli, Camilleri? Tutti quanti sono dei pezzi di un puzzle unico che racconta il paese nella sua interezza.
Nessun'altra letteratura racconta le città come fa oggi romanzo nero, dal loro interno.
Da un po' in Italia non si vedono romanzi impegnati, ma lei qui prende una posizione e dice delle cose che non si leggono più nemmeno nei giornali.
Io racconto una storia che sta tra passato e presente, come tutte le storie di Sara. Lei ha lavorato per trent'anni in un servzio, intepretando e intercettando parole, gesti, movimenti insieme ad altri.
Tutto questo è stato superato dalla tecnologia, ma non si può archiviare un modo di interpretare le emozioni. Sara continua a lavorare, ma alla luce di quello che sa: le ferite del passato si riflettono in quelle attuali, e purtroppo non c'è nulla di nuovo.
Sara, invece, ricorda e riesce a capire il presente perché ha bene in mente il passato.
Il presente ha delle zone d'ombra. Ci sono dei fenomeni biblici, che non sono di per sé né buoni né cattivi: Internet è uno di questi, uno strumento come un coltello, con cui tagli il pane ma puoi sfregiare una ragazza.
Sara non è un poliziotto o un investigatore, è un magistrato unico, senza gradi di giudizio precedenti o successivi, che fa un'istruttoria, emana una sentenza e la mette anche in pratica. Una donna invisibile, un animale metropolitano, che sembra erbivoro e invece è carnivoro. Non è un'invenzione particolarmente originale, ma è originale farla muovere adesso per strada: la immagineremmo più facilmente a New York ma invece vive qui e ora, ed è forse l'animale più feroce della giungla. Non è un criminale, ma non è nemmeno un poliziotto, sta in mezzo.
È evidente, leggendo il ormanzo, che Sara e Teresa vengono percepite come speculari una all'altra. Quanto è partito dal personaggio di Sara per costruire la sua controparte e quanto pensa che, invece, scrivere di Teresa abbia regalato qualcosa anche a Sara?
Sara e Teresa condividono un'adolescenza professionale, ma in realtà la loro amicizi resta un po' un mistero. Noi uomini siamo meno amici, ma duriamo di più. Voi donne siete amiche al limite della condivisione e della coesistenza, però poi di fatto queste amicizie hanno una durata limitata nel tempo. Sara e Teresa hanno condiviso tutto ed erano complementari, Sara nella silenziosa interpretazione, Teresa nell'effervescenza delle conclusioni, come due segmenti di uno stesso processo e si completavano, avevano bisogno una dell'altra.
Quando hanno finito di lavorare insieme si sono separate, ma si reincontrano nel terreno fragile dell'amore. L'amore ci rende fragili e ci scopre la gola. Teresa si scopre nel momento in cui deve rinunciare a un certo tipo di avvenenza e ha bisogno di conforto, è una lupa rimasta senza branco e ha bisogno di Sara per completarla. Questo libro in realtà è la storia di un'amicizia.
Ho trovato molto interessante la parte politica, con i riferimenti alla strategia della tensione riportata ad oggi. Quanto c'è di vero e di inventato?
L'immigrazione dall'Africa è un fenomeno epocale e non interpretabile, ma non si può pensare di chiudere una finestra per evitare un'inondazione. Il contingentamento dell'immigrazione, la creazione di un sentimento popolare negativo, in realtà non fa altro che aumentare la carne fresca da sfruttare. Conoscete italiani che andrebbero a raccogliere pomodori in Puglia a quarantacinque gradi sotto il sole, che pulirebbero un novantenne che non capisce più nulla, che terrebbero aperto un negozio alle quattro di mattina? Il contingentamento non fa altro che aumentare il numero dei clandestini, perché non smetteranno di venire. Le storie devono essere verosimili, perché altrimenti non coinvolgono, e purtroppo credo che questa storia lo sia: se conoscessi nomi e cognomi andrei pure a denunciarli.
Una volta sono stato intervistato da Rai Tre sotto il palazzo in cui ho immaginato che vivesse il commissario Ricciardi. Dei ragazzini che assistevano alla scena, senza nemmeno sapere chi fossi, vedendomi con un microfono si avvicinarono e mi dissero "dotto', per piacere, potete dire che qua non c'è lavoro?" Io cominciai l'intervista dicendo "qui il lavoro non ci sta" e il giornalista mi guardò come se fossi scemo, ma il ragazzo mi aveva chiesto aiuto: io avevo un microfono, e questo era fondamentale. Noi abbiamo il dovere di usare i microfoni a disposizione, il nostro microfono sono queste storie.
Perché ha scelto proprio Sara per raccontare queste vicende, in un contrasto tra il suo essere invisibile e l'eco che dà alle vite degli altri?
Era l'unica che potevo usare, perché gli altri miei personaggi sono investigatori: il commissario Ricciardi vive in un'altra epoca e i Bastardi di Pizzofalcone possono occuparsi solo di quello che accade in un piccolo commissariato di periferia. Sara può andare oltre, perché non ha limiti, è una scheggia senza obblighi di confronto.
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È venuta prima la voglia di scrivere ancora di Sara o l'idea di questa storia?
Ho un mare di storie da scrivere attorno a Sara, se me le pubblicheranno.
Rispetto al libro precedente, Sara appare un po' meno invisibile, si rivela di più al lettore. È la nuova famiglia a cambiarla?
È l'interesse nei confronti del domani, grazie al nipotino. Prima aveva solo in mente una gestione personale della giustizia, ma ora si sente anche responsabile verso il futuro, che deve essere migliore del presente.
In realtà, più che una famiglia, attorno a Sara lei ha costruito una squadra di supereroi e il libro è molto più corale del precedente. Come si è rapportato a tutti questi personaggi?
Se vuoi affrontare un personaggio e raccontarlo, tu gli devi volere bene, anche se è un personaggio terribile, un pedofilo, uno stragista o un omicida: se non gli vuoi bene, non sei grado di comprenderlo. Il mio coinvolgimento nei confronti di Sara e della sua cerchia è sempre maggiore perché conosco sempre di più i loro sentimenti, le paure, le fragilità.
Da autore, credo che Le parole di Sara sia meglio del primo libro della serie proprio perché conosco meglio i personaggi.
Sono rimasta colpita dal modo di raccontare Napoli, che qui appare molto diversa rispetto a quella descritta in altri suoi libri, per cui volevo sapere come è arrivato a descriverla così fredda, grigia e anonima, tanto che porebbe essere qualsiasi altra città?
Napoli con Sara offre la migliore interpretazione di se stessa, perché in realtà la città è un personaggio. Interpreta un ruolo accorato, dolente, dignitoso e disperato nei romanzi di Ricciardi, diventa rumorosa, policroma, polifona, plurale, invadente e anche pericolosa nella serie dei Bastardi di Pizzofalcone, ma con Sara è fredda, distante, borghese e ostile: guarda l'orticello e difende se stessa. Se venite a Napoli e andate nel Vomero, che è il quartiere dove vive Sara, lo trovate come l'ho descritto. Napoli è come la Magnani, una grande attrice che puoi usare come vuoi.
Anche il linguaggio secondo me è cambiato, molto scarno e meno ricco. Negli altri suoi romanzi era più barocco. Torna più ricco quando parla della storia d'amore passata di Sara.
Quella di Sara e Massimiliano è la più bella storia d'amore che abbia mai scritto. Il ricordo di un amore così è talmente vasto che colma tutti i vuoti successivi.
Il grande amore può giustificare l'abbandono del figlio? Sara è forte perché ha seguito l'amore oppure è debole perché non ha avuto la forza di rinunciare e restare in famiglia?
Sara ha un principio di fondo: io non mento. Il suo lavoro è smascherare la menzogna e la sua vita riflette tutto questo. Non si tinge i capelli, non porta le scarpe col tacco, non si veste con abiti eleganti ma scomodi. Quando s'innamora, Sara capisce che non può fare altro che seguire l'amore, anche se questo contempla l'abbandono del figlio. Eticamente la sua scelta è atroce, soprattutto per me che ho vissuto nella realtà come il marito di Sara, crescendo i miei figli, ma come personaggio non poteva fare altrimenti.
Teresa, donna alfa che demoliva tutte le convenzioni sul suo sesso, alla fine sembra quasi punita per le sue scelte. Perché?
Il romanzo nero racconta una cosa: le imperfezioni. Noi non raccontiamo i muri, ma le crepe, i buchi, le feritoie, l'amore che diventa odio. I personaggi sono tanto più riusciti quanto meno perfetti.
La donna alfa o l'uomo forte che restano uguali dalla prima all'ultima pagina danno un brutto libro, perché la realtà non è manichea e se i personaggi sono sbagliati, non sono veri.
Teresa è fortissima ma fragile, come è giusto che sia.
Alla fine, nonostante il genere, l'amore ha un ruolo importante in entrambi i romanzi di Sara, soprattutto nel secondo. Quanto è importante parlare d'amore in un romanzo noir?
Io parlo sempre d'amore. Non c'è un mio romanzo o racconto dove non ci sia. L'amore è un inferno, perché chi s'innamora scende in un inferno, non va in paradiso. Ti fa vedere la felicità dietro un vetro, è una debolezza, un'incrinatura dalle conseguenze imprevedibili. Per me è impossibile scrivere un romanzo noir senza l'amore.
Quanto divertimento c'è nella sua scrittura?
Non c'è autore napoletano che, per quanto tragico, non abbia in sè vene comiche, e viceversa. Gomorra è un libro terribile, ma il capitolo in cui i camorristi si attribuiscono i soprannomi è divertentissimo. È una cifra precisa degli autori napoletani, perché dai senso al nero solo se fai vedere anche il bianco.
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Altre volte in passato ha citato King come uno dei suoi maestri. In cosa l'ha ispirata?
Parliamo di uno che si sente un nano di fronte a un gigante, perché anche se vendessi quattro volte i libri che vendo mi sentirei solo un pallido imitatore. Direi che da King ho preso la modalità narrativa dei romanzi di Ricciardi, così come MacBain mi ha ispirato i Bastardi di Pizzofalcone e Le Carré il mondo di Sara.
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Per la prima foto, copyright: Bertrand Gabioud su Unsplash.
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