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Masterpiece e l’effetto Festival di Sanremo

MasterpieceSì, anch’io scriverò di Masterpiece, o meglio non del programma in sé, quanto dell’effetto Festival di Sanremo di cui è stato vittima: un atteggiamento di critica preventiva, che si auto-conferma indipendentemente da ciò che è stato messo in scena. E uso l’espressione “messo in scena” perché tutto ciò che succede in televisione è di per sé una messa in scena, lo è quando accade in diretta, figuriamoci quando si tratta di una trasmissione registrata di cui vediamo un montaggio che di per sé non può che essere una ricostruzione ex post. È questa una critica a Masterpiece? No, è una semplice definizione di campo, giusto per iniziare a dire che un giudizio negativo su Masterpiece a partire da quest’osservazione è come dire che Pippo Baudo non ci piace perché è un uomo di spettacolo o che Margherita Hack non ci era simpatica perché era un’astronoma e non un’astrologa. Ed è questo, a mio avviso, il tranello in cui è caduto Andrea Coccia, quando su «Linkiesta» scrive: «Io non manderei il mio manoscritto a Masterpiece perché Masterpiece è un format televisivo, e proprio per questa sua natura, non si pone come obiettivo il contribuire al panorama letterario (che è la cosa che mi interessa, in generale), ma mira al semplice esercizio di spettacolarizzazione dell'atto della scrittura, usando il naturale narcisismo di chi scrive (un narcisismo, intendiamoci, che accompagna da sempre l'atto di produzione creativa, di qualsiasi produzione creativa, e non ha nulla di male, in sé) per inventare e far vivere personaggi nel mondo non scritto della Televisione, per fare pubblico e per vendere questo pubblico ai propri investitori pubblicitari (cosa che è naturale per il mezzo televisivo).»

Ecco un primo esempio di effetto Sanremo: io non manderei mai la mia canzone a Sanremo, quel teatrino televisivo che con la musica non c’entra nulla. Forse sto banalizzando il messaggio di Andrea Coccia? Proviamo, allora, a entrare nel merito delle argomentazioni: si rimprovera a Masterpiece di essere un format televisivo, il che è come sostenere che non si leggerà mai un articolo di Vittorio Zucconi perché è un giornalista; si affermano, poi, quattro principi:

  1. La natura del format televisivo non è quella di contribuire al panorama letterario. Un esempio basta a smentire il principio: Cult book (Rai 3). Del resto, non esiste IL format televisivo, ma I format, a seconda di quello che intendono mettere in scena. Per capirci, il talk show politico è un format televisivo diverso dal talent show, che a sua volta è diverso da La prova del cuoco;
  2. Masterpiece mira a sfruttare il narcisismo dell’aspirante scrittore. Un po’ somiglia agli articoli di chi sente i nomi dei partecipanti al Festival di Sanremo e chiosa che le canzoni fanno schifo, senza averle ancora ascoltate (l’articolo è stato pubblicato qualche giorno prima dell’inizio del talent);
  3. Il mondo della Televisione è non scritto. Quanta ingenuità si nasconde in quest’affermazione? Davvero pensiamo che in televisione non ci sia nulla di scritto? Consigliamo Troppi paradisi di Walter Siti, o anche solo di rivedere le vecchie trasmissioni pomeridiane di Alda D’Eusanio su Rai2 scritte dallo stesso Siti per rendersi conto di come in televisione tutto sia scritto, con maggiore o minore competenza, ma nulla è lasciato al caso. E dal punto di vista di chi guarda la televisione, siamo certi che si assista solo a immagini in serie, e non alla rappresentazione (drammatizzazione o spettacolarizzazione che sia) di un copione scritto?
  4. Il mezzo televisivo vende pubblico a inserzionisti. Diamo un’occhiata al sito della testata su cui ha scritto Coccia e scopriamo che è altrettanto ricco di pubblicità. Dunque, se Coccia afferma un principio generale, potremmo dire che anche lui si è prestato a far vendere lettori a inserzionisti pubblicitari.

Nello stesso effetto Sanremo cade Fabio Viola, sempre su «Linkiesta», quando afferma che il meccanismo del talent in Masterpiece s’inceppa perché «i testi proposti dai concorrenti sono (cioè sono stati, perlomeno nella prima puntata) di livello innegabilmente infimo. E qui torniamo al cinismo dell'operazione: non si tratta di un talent show volto alla promozione della letteratura (e non possiamo essere tanto naïf da pensare che fossero quelle, le intenzioni), né della lettura (vedi sopra), né tiene fede alla dicitura “talent show” visto che di talento non c'è traccia, per ora, né starò qui a infierire sul titolo crudele (Capolavoro).» L’articolo di Viola è stato pubblicato il 18/11/2013, la prima puntata di Masterpiece è andata in onda il 17/11/2013: a meno che qualcuno non abbia mandato i romanzi a Viola in anteprima, ci chiediamo come sia stato possibile per lui leggere i libri di tutti gli aspiranti scrittori in una notte (sempre ammesso che li abbia letti, dato che il 18/11/2013 non erano stati ancora pubblicati sul sito della trasmissione). E qui l’effetto Sanremo mostra un altro suo aspetto: leggiamo i testi delle canzoni su «Tv Sorrisi e Canzoni» e commentiamo che la musica faceva schifo. Un po’ come seguire dieci minuti di un film di sette ore e dire che è brutto. Va bene per un giudizio di pancia, ma, se si vuole accusare qualcuno di non promuovere letteratura, e dunque cultura, è l’approccio metodologico giusto?

Il giorno dopo, tocca a Chiara Valerio, dalle pagine del suo blog su «L’Unità».
Cominciamo dall’effetto Sanremo con cui esordisce l’articolo: citare Marguerite Yourcenar che fa l’elenco delle opere di Roger Caillois è un po’ come citare Beethoven davanti a una canzone di Al Bano, prima ancora di ascoltare la canzone del pugliese. Perché va detto che il 19/11/2013 i testi dei romanzi non erano stati ancora rilasciati.
Ma il dubbio che sorge qui è un altro: è ovvio che Yourcenar citi le opere di Caillois, dal momento che quest’ultimo non era un esordiente. Come si può pretendere da un talent show per aspiranti scrittori che faccia un elenco di opere, se appunto si tratta di aspiranti scrittori, cioè di persone che non hanno mai pubblicato? È come dire che nelle trasmissioni di Corrado Augias si usa troppo il congiuntivo.

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MasterpieceLa critica forte mossa da Chiara Valerio a Masterpiece è:

«Ma Masterpiece fa di più. Masterpiece anticipa la promozione, Masterpiece decreta per la letteratura la verità di qualsiasi sana campagna commerciale, l’analisi di mercato prima del piazzamento del prodotto sul mercato. Creare nel pubblico il bisogno del romanzo prima del romanzo.»
Per poi, scrivere subito dopo:
«Insomma Masterpiece che dovrebbe essere un congegno per prendere scrittori – come X Factor prende cantanti e Masterchef cuochi, ma le canzoni si sentono e i cibi si assaggiano se non nell’immediato, appena dopo – e così come i retini sono pensati per prendere farfalle, sembra avere funzioni di un retino per farfalle nel quale ci sia solo il cerchio di legno. Insomma non prende farfalle.»

Due domande restano insolute:

  • Quand’è che un romanzo esiste? Dopo essere stato scritto o dopo essere stato pubblicato? Nel secondo caso, varrebbe il principio dell’esistenza subordinata all’apparenza: il romanzo esiste perché è in libreria. In realtà, un romanzo esiste per il solo fatto di essere stato scritto. Ma il problema è un altro: le analisi di mercato si fanno coinvolgendo il target di acquirenti. La critica mossa da Valerio dopo la prima puntata di Masterpiece è l’impossibilità per il pubblico di partecipare il suo giudizio sull’opera. È importante che Chiara Valerio prenda una decisione: è un’analisi di mercato con l’interazione dei potenziali acquirenti o non c’è la partecipazione del pubblico e, quindi, non si tratta di un’analisi di mercato?;
  • Ma Valerio che televisione possiede? Perché ho visto una puntata di Masterchef e, a dire il vero, non ho sentito l’odore dei piatti né il loro sapore, ho assistito a una sessione di giudizio, esattamente come per Masterpiece. Potrò assaggiare il piatto in un secondo momento? Certo. Ma, in un secondo momento, potrei leggere anche il romanzo che avrà vinto Masterpiece. Dunque, perché in un caso le farfalle cadrebbero nel retino e nell’altro no?

Per Chiara Valerio, l’effetto Sanremo è più avvilente, perché entra nel merito di una questione importante: se la musica pop d’autore si esibisce a Sanremo è il livello della musica che s’abbassa o è Sanremo che acquista una nuova dignità? Va da sé che è sempre il primo caso, a prescindere appunto.

Ritorna sulla questione Andrea Coccia, il giorno successivo alla prima puntata di Masterpiece e sempre su «Linkiesta», affermando «sostanzialmente l'incompatibilità di un talent televisivo con l'atto della scrittura, che della televisione non ha né i tempi, né i modi». Ma perché un talent show sarebbe compatibile con l’atto del cucinare o quello del cantare? Esiste qualcosa con cui un talent possa essere davvero compatibile?
Alle critiche – giuste – che, in quell’articolo, Andrea Coccia muove su Masterpiece non si può non rispondere che formulare giudizi senz’appello su trasmissioni registrate e fondate sul montaggio può essere quanto meno azzardato, tant’è vero che, come sottolinea Luca Romano sul suo blog, molti di quei difetti sono stati risolti.

L’esempio più grossolano di effetto Sanremo: Mascheroni e Fabio Viola e le parole rivolte a Taiye Selasi. Il primo scrive: «Un metro-e-ottanta al netto del tacco, capello fintamente selvaggio, giacca d'arte di Alexander McQueen, sguardo animalier e falcata da pantera, Taiye Selasi è una bellezza di trentaquattro splendidi anni e sorriso a trentadue luminosissimi denti – fa tanto fiction. Più lipgloss che pathos. E sotto la stoffa kente, il nulla. Resterà, dopo che avranno smontato luci e scrivania del mega media talent show? O finirà nel magazzino delle rese, sull'isola televisiva degli eravamo famosi
Il secondo: «Taiye Selasi, di sicura presa mediatica per il fatto di esprimersi abbastanza bene in italiano, e sulla cui comprensione profonda dei testi in esame è meglio non indagare – più che altro perché, davvero, il punto di Masterpiece non è questo.»

Entrambi sembrano cercare Aldo Grasso, quando si accanisce contro una qualunque valletta di Sanremo, ma finiscono col trovare il commentino acido di Malgioglio, che gridando contro gli altri svela se stesso.

Il problema non è essere a favore di Masterpiece o no, qui è in gioco altro: si potrà mai uscire da quest’enorme effetto Sanremo in cui sembra essersi paludata la cultura italiana?

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