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Manzoni, Hugo e il tema della conversione

Manzoni, Hugo e il tema della conversionePer definire la conversione niente ci pare più appropriato che rifarsi alla sua derivazione etimologica.

Infatti mentre la nostra cultura cristiana ci informa che la conversione è innanzi tutto un volgersi dal male al bene/a Dio, l'etimo latino da cui deriva, esente dall'interpretazione cristiana, la definisce semplicemente come un voltarsi/rivolgersi. Se dunque la definizione cristiana ha una connotazione smaccatamente etico-morale per il termine, entrambe hanno in comune il fatto di riferirsi a un moto.

Ed è proprio partendo da un'analisi di questo moto che vorremmo iniziare a trattare della fenomenologia della conversione religiosa in due romanzi celeberrimi: I promessi sposi e I miserabili.

In entrambi i testi la conversione rappresenta uno snodo narrativo di fondamentale importanza poiché porta in un caso al lieto fine di cui fa da garante (Promessi sposi), nell'altro è condizione necessaria per l'avvio della trama stessa, imperniata proprio su di essa.

Così se Manzoni sottolinea a più riprese l'importanza dell'azione della Provvidenza per un esito felice, Hugo fa del “moto” di cui si accennava prima il protagonista delle vicende narrate sin dal prologo-manifesto.

«Il libro che il lettore ha sotto i suoi occhi in questo momento, è, da un capo all’altro, nel suo insieme e nei suoi dettagli la marcia dal male al bene. Dell’ingiusto verso il giusto, dal falso al vero, dalla notte al giorno, dall’appetito alla coscienza, dalla putrefazione alla vita; dalla bestialità al dovere, dall’inferno al cielo, dal nulla a Dio».

 

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Tale scarto “dalla notte al giorno” è presentato nei due romanzi attraverso le conversioni dell'Innominato e dell'ex-galeotto Jean Valjean, realizzate attraverso la mediazione di quella Chiesa di cui rispettivamente il cardinal Borromeo e il vescovo di Digne si fanno portavoce.

Manzoni, Hugo e il tema della conversione

Si noti come, in ambedue i casi, punto di partenza per la conversione sia il citato moto a luogo, quasi a sottolineare meglio il cammino di queste due anime-pellegrine alla ricerca di Dio.

Tuttavia, il modo in cui questo si attua è ben diverso: mentre Jean Valjean raggiunge la dimora del vescovo Myriel per caso, l'Innominato è guidato dalla precisa volontà di dare una svolta alla sua vita. Nel primo caso dunque il moto a luogo è semplicemente dato da una successione di eventi che potremmo dire provvidenziale, nel secondo costituisce l'attuazione di una volontà di riscatto, maturata col notturno esame di coscienza.

«...Si trovò ingolfato nell’esame di tutta la sua vita. Indietro, indietro, d’anno in anno, d’impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva all’animo consapevole e nuovo, separata da’ sentimenti che l’avevan fatta volere e commettere; ricompariva con una mostruosità che que’ sentimenti non avevano allora lasciato scorgere in essa. Eran tutte sue, eran lui:l’orrore di questo pensiero, rinascente a ognuna di quell’immagini, attaccato a tutte, crebbe fino alla disperazione».

 

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Disperato e alla ricerca d' una svolta, l'Innominato spera di trovarla nella fede che fa acclamare al popolo l'arrivo del cardinal Borromeo nel paese vicino; di qui la necessità del moto per raggiungerlo.

Manzoni, Hugo e il tema della conversione

Così ne I promessi sposi è la pecorella smarrita a tornare al suo pastore.

«Lasciamo le novantanove pecorelle, – rispose il cardinale: – sono in sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella ch’era smarrita. Così dicendo, stese le braccia al collo dell’Innominato; il quale, dopo aver tentato di sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da quell’impeto di carità, abbracciò anche lui il cardinale, e abbandonò sull’omero di lui il suo volto tremante e mutato».

 

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Nell'opera di Hugo invece, sebbene sempre di moto a luogo si tratti, le dinamiche sono profondamente diverse: Valjean vuole semplicemente trovare ricovero per la notte dopo aver ottenuto la libertà condizionata. Se l'Innominato ricerca il necessario per l'anima, Valjean vuole soddisfare soprattutto il suo stomaco.

«Sono molto stanco, dodici leghe a piedi, ho molta fame. Volete che resti?»

Manzoni, Hugo e il tema della conversione

Il galeotto, diffidente nei confronti del vescovo, si stupisce dell'accoglienza ricevuta che tuttavia non ha un immediato riscontro dal punto di vista spirituale, tanto che nottetempo arriva addirittura a compiere un furto ai danni dello stesso.

La notte di Jean quindi, a differenza di quella salvifica dell'Innominato, è una notte che degrada ancor più il personaggio.

La mattina seguente Valjean, essendo stato scoperto, viene condotto da alcuni gendarmi dal vescovo affinché gli restituisca la refurtiva. Eppure il vescovo, dimostrando una straordinaria capacità di perdono, nasconde il furto sostenendo di avergli regalato lui stesso quanto rubato e arrivando a fargli anche un altro dono, col quale salverà la sua anima.

«“Amico mio,” ripigliò il vescovo “prima di andarvene, ecco i vostri candelieri. [...] Non dimenticate, non dimenticate mai, che mi avete promesso di adoperare questo denaro per diventare un galantuomo. Jean Valijean, fratello, non appartenete più al male ma al bene; io compro la vostra anima; la sottraggo ai pensieri neri e allo spirito di perdizione e la dono a Dio.”»

Manzoni, Hugo e il tema della conversione

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Così come l'incontro è dettato da un'esigenza materiale (la fame), altrettanto materiale è il simbolo di quest’ultima conversione, i candelabri, contro l'abbraccio genuino del primo caso. Differenza resa evidente anche dall'utilizzo del verbo comprare da parte del vescovo, consapevole quindi del fatto che in Valjean manca l'esame di coscienza che invece muove l'Innominato.

Tuttavia l'esame di coscienza, come vuole anche il sacramento della confessione, è indispensabile per il cambiamento; perciò anche Jean Valjean vi arriverà, a seguito di un percorso forse più accidentato: infatti, anche dopo l'incontro con il vescovo, Jean persiste nel peccare. Sarà solo dopo un ultimo furto, compiuto ai danni d'un bambino, che l'eroe de I miserabili giunge a un auto-esame che, facendogli rifiutare quella parte di sé che non può più accettare, comporta la conversione vera e propria.

«“Sono un miserabile!” egli si vedeva già nella sua realtà ed era a tal punto staccato da se stesso che gli pareva di non esser più che un fantasma e di aver dinanzi a sé, in carne e ossa, l'orrendo galeotto, Jean Valjean. Fu dunque una visione; egli vide veramente dinanzi a sé quel Jean Valjean, quella figura sinistra; fu lì lì per domandarsi chi fosse quell'uomo e ne ebbe orrore».

 

Il male commesso dai personaggi analizzati verrà poi ampiamente riparato dal bene compiuto: l'Innominato, «santo con la spada in pugno», darà infatti asilo a chi è in fuga dalle città per evitare la peste; Valjean diventerà un benefattore e anche per lui verrà utilizzato l'aggettivo «santo».

Un ultimo aspetto ci proponiamo di analizzare: come “l'altro” percepisce il neoconvertito? A seguito della conversione dell'Innominato, Manzoni descrive così la reazione della gente:

«Questa volta, la nuova della sua conversione l’aveva preceduto nella valle; vi s’era subito sparsa, e aveva messo per tutto uno sbalordimento, un’ansietà, un cruccio, un sussurro».

Manzoni, Hugo e il tema della conversione

E quella, ben più scettica, di Don Abbondio:

«E se sarà poi vero che sia diventato galantuomo: così a un tratto! Delle dimostrazioni se ne fanno tante a questo mondo, e per tante cagioni! Che so io, alle volte!?E intanto mi tocca andar con lui!»

 

Così come Don Abbondio dubita del ravvedimento dell'Innominato, lo stesso fa Javert, ispettore di polizia che perseguita l'ex-galeotto. Non ammettendo per la sua stessa rigidità alcun tipo di cambiamento, ritiene che Valjean sia da condannare perché, colpevole di reato, così dice la legge che lui rappresenta.

«La probità, l'idea del dovere […] sono virtù che hanno un vizio, l'errore: la spietata gioia d'un fanatico conservano in piena atrocità non so quale splendore degno di lugubre venerazione. Senza sospettarlo Javert, nella sua tremenda felicità, era da compiangere come ogni ignorante che trionfi:nulla di più straziante e terribile di quel volto in cui appariva tutto quel che potremmo chiamare la malvagità della bontà».

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Che pensare allora di questi personaggi che si ergono a giudici?

In sé non sono disprezzabili: Don Abbondio vuole soltanto salvarsi la vita e Javert vuole solo tutelare la legge, come è suo dovere fare. Eppure al lettore appaiono personaggi negativi perché limitati nel non accettare che c'è qualcosa che va oltre la vita e la legge: la capacità del cuore umano di abbracciare una nuova vita e una nuova legge.

Malgrado le differenze esaminate nei modi della conversione, risulta quindi evidente come tanto Manzoni quanto Hugo volessero trasmettere ai loro lettori un messaggio che ritenevano fondamentale, ossia che il cambiamento è sempre possibile.

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