“Malinverno” di Domenico Dara, un romanzo che non vorresti mai finire di leggere
Ho avuto la fortuna di leggere Malinverno, di Domenico Dara, senza conoscerne la trama e senza aver mai letto un testo scritto da quest’autore calabrese. E ora posso dire di aver fatto un’ottima scelta e una magnifica scoperta.
Un’espressione di meraviglia e, allo stesso tempo di dispiacere, si è stampata subito sul mio volto. Di meraviglia, perché mi sono trovato di fronte a un libro sorprendente, un romanzo incantevole, ricco e profondo, scoprendo un autore talentuoso, che possiede una scrittura leggera e intesa, che incanta il lettore, fatta di termini ricercati e frasi perfettamente incastrate l’un l’altra; di dispiacere, perché – dopo diversi mesi – ho finalmente (o ahimè, a seconda dei casi) ritrovato quella strana sensazione che si prova quando ci si trova al cospetto di un libro capace di farti sognare davvero, e comprensibilmente non si ha alcuna voglia di finirlo, perché si è consapevoli che i protagonisti, girata l’ultima pagina, ci lasceranno (forse) per sempre, e noi non avremo più il piacere di scoprire le loro gesta…
È in parte questo che ho provato dopo aver incontrato il bibliotecario di Timpamara, Astolfo Malinverno, il protagonista della storia.
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L’intera vicenda si svolge in un paesino della Calabria, Timpamara, appunto, dove «si è installata la più antica cartiera calabrese” e dove “i libri sono nell’aria, le parole dei romanzi e delle poesie appartengono a tutti e i nomi dei nuovi nati suggeriscono sogni e promesse». Le pagine volano spesso nell’aria, a Timpamara, trasportate dal vento, e diffondono cultura e amore per le storie. È lì che vivono personaggi come Ortìs, Volfango, Achille, Abelardo e Astolfo, il protagonista, un bibliotecario dal carattere schivo, amante della letteratura. Una persona eccentrica, solitaria, che «di tanto in tanto passa dal macero, al ritmo della sua zoppia» e recupera i libri che possono tornare in circolazione. Li sistema in biblioteca e darà loro nuova vita.
Un giorno però, al lavoro di bibliotecario, Astolfo è costretto ad affiancare quello di guardiano del cimitero. È obbligato a divere le sue giornate: la mattina tra morti, il pomeriggio tra i libri.
All’inizio Astolfo è spaesato, stranito, ma gli bastano pochi giorni per immergersi pienamente tra la pace del camposanto e lasciarsi catturare dalle sfaccettature del suo nuovo impiego. Ed è lì, tra le lapidi, che Astolfo trova anche “l’amore”. C’è una pietra sepolcrale che lo attira: è una lastra senza nome e senza date, ma con la foto di una donna bellissima. Malinverno osserva quel ritratto con attenzione e ammirazione e immagina la vita di quella splendida signora che non c’è più. Si chiede chi sia e come sia finita lì. La pensa e la porta sempre con sé. Lentamente, quasi, se ne innamora, e le dà anche un nome, “Emma”. Perché per lui – amante della letteratura – quella donna misteriosa è la sua Madame Bovary.
Così, decide di scoprire chi era e di iniziare un viaggio alla ricerca di indizi e tracce della vita di Emma, mentre attorno a lui si muovono e interagiscono gli abitanti di Timpamara e i visitatori del cimitero, e gli fanno vivere mille altre storie: come gli incontri con il “resuscitato”, ad esempio, o quelli con una ragazza che rimane vedova alla vigilia delle nozze e chiede ad Astolfo di unirla in matrimonio con il trapassato.
La prima cosa che si apprezza leggendo il testo di Dara è come l’autore sia stato capace di costruire l’ambientazione. Il romanzo, infatti, si svolge al centro di un micromondo bizzarro ma ben delineato, piacevole da scoprire, un posto che sembra perfetto come sfondo per una favola moderna, dove una moltitudine di caratteristiche e di microstorie s’intrecciano attorno alla vita di Astolfo.
Il background dei personaggi, e in particolare quello del protagonista, sono ben equilibrati e risultano molto verosimili, anche quando l’eccentricità del soggetto o della storia potrebbero far pensare a una cosa fuori da ogni logica. L’autore, in altre parole, è stato bravo a dosare e a immaginare la giusta spiegazione per ogni sottotrama che popola il romanzo, fornendo risoluzioni credibili. E lo ha fatto senza appesantire il testo, distribuendo cioè le informazioni nel corso della storia in maniera ponderata.
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Il linguaggio ricercato è un altro aspetto che mi ha fatto apprezzare il bel lavoro dell’autore. Come già anticipato i termini sono ben distribuiti e sono capaci di evocare immagini d’altri tempi. Formano frasi che non stonano mai, tanto che, sovente, sembra di stare leggendo una poesia ben scritta e non un romanzo.
Edito da Feltrinelli, nella collana Narratori, Malinverno si compone di circa 330 pagine ed è un romanzo che mi sento di consigliare a tutti. Io, grazie a questo libro, ho scoperto la bravura dell’autore e, presto, sono certo, lo farò “mio”. Nel senso che mi procurerò tutti gli altri suoi scritti, rimediando all’ “errore” di non averlo letto prima, e sperando, così, di provare di nuovo quella sensazione di avere tra le mani un romanzo che non vorresti mai finire di leggere.
Per la prima foto, copyright: Veit Hammer su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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