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Louise Glück, la poesia che tiene insieme terra e cielo

Louise Glück, la poesia che tiene insieme terra e cieloPuntata n. 124 della rubrica La bellezza nascosta

 

Louise Glück (nata a New York il 22 aprile 1943) in questo 2020 ha vinto il premio Nobel per la letteratura. Poetessa americana, semisconosciuta nel nostro paese, alcune sue poesie erano state pubblicate tempo fa da una piccola casa editrice di Napoli, Dante & Descartes.

La sua intera opera, al momento, è in corso di pubblicazione in Italia grazie a Il Saggiatore.

A oggi sono state pubblicare due raccolte di poesie: Averno e L’iris selvatico, con la traduzione a cura di Massimo Bacigalupo, ed è proprio attraverso questi due libri che proveremo a capire quali sono i temi fondamentali della poetessa americana.

 

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Louise Glück, la poesia che tiene insieme terra e cielo

In Averno (anticamente si pensava che il lago Averno, in provincia di Napoli, fosse la porta dell’oltretomba)ci troviamo faccia a faccia con un tema fondamentale, quello della morte, quello dell’aldilà, ma Glück non si ferma a farsi domande su cosa ci sia una volta che viene esalato l’ultimo respiro, no, lei resta lì e prova a comprendere, attraverso le parole, attraverso delle frasi che sono forti e appaiono come oggetti incrollabili, cosa faccia l’anima nel regno dei morti, in che modo riesca a relazionarsi con le cose di quaggiù, con tutto quello che ha lasciato di materiale, con le mancanze, con le voglie, con tutto quello che non potrà mai più ritornare.

«Era caduta neve. Ricordo/della musica da una finestra aperta./Vieni da me, disse il mondo./Non voglio dire/che parlasse in frasi distinte/ma che ho percepito la bellezza così./Levar del sole. Una pellicola di umidità/su ogni cosa viva. Pozze di luce fredda/raccolte nei fossi./Stavo ferma/sulla porta,/per quanto ora sembri ridicolo./Ciò che altri hanno trovato nell’arte,/io l’ho trovato nella natura. Ciò che altri hanno trovato/nell’amore umano, io l’ho trovato nella natura./Molto semplice. Ma lì non c’era nessuna voce./L’inverno era finito. Nella terra gelata,/traspariva del verde./Vieni da me, disse il mondo. Stavo ferma/nel mio cappotto di lana in una specie di portale luminoso/ posso finalmente dire/molto tempo fa; mi dà un piacere particolare. La bellezza guaritrice, maestra —/la morte non può farmi male/più di quanto tu mi abbia fatto male,/amata vita mia.»

 

Nelle poesie di Averno c’è il gesto vivo, c’è qualcosa che accade o che sta per accadere, ci sono dei momenti che sembrano girare in tondo per ricadere su se stessi.

 

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Si parla delle cose vive, vive anche se al di là, vive anche se restano soltanto ricordi, cose che ci sono sfuggite, cose con cui potremmo fare i conti per sempre, conti che non riusciremo mai a risolvere.

Ci sono momenti in cui la vita e la morte vengono messi una davanti all’altra, quasi come se fosse un duello, e spesso il risultato ultimo è che nessuna morte può essere più dolorosa della vita stessa, del carico della vita.

«E poi: il ghiaccio/era lì per tua stessa protezione/per insegnarti/a non sentire —/la verità lei disse/pensavo che sarebbe stata come/un bersaglio, ne vedresti/il centro —*/Luce fredda che riempie la stanza./So dove siamo,/lei disse/quella è la finestra/quando ero una bambina Quella è la mia prima casa, lei disse/quella scatola quadrata —/ridi pure se vuoi. Come l’interno della mia testa:/puoi vedere fuori/ma non puoi uscire fuori —*/Pensa un po’ il sole era lì, in quel luogo nudo/il sole invernale/non abbastanza vicino per raggiungere i cuori dei bambini/con la luce che dice/puoi vedere fuori/ma non puoi uscire fuori/Qui, dice, è qui che tutto è al suo posto.»

Louise Glück prova a mantenere un distacco, e prova, con questo distacco, a proteggersi dalle cose terrene, da tutto ciò che lacera la carne e ancor più la memoria; la memoria, dove i ricordi piovono come grandine e come grandine causano dolore.

 

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Louise Glück, la poesia che tiene insieme terra e cielo

I ricordi, nelle parole della poetessa americana, restano l’unico laccio che tiene legate vita e oltretomba, l’unico suono in grado di donare ancora una forma alle cose passate.

«Fianco a fianco, non/mano nella mano: vi guardo/camminare nel giardino estivo — le cose che non si muovono/imparano a vedere; non mi occorre/inseguirvi attraverso il giardino; gli esseri umani lasciano/segni di sentimento/dovunque, fiori/sparsi sul sentiero terroso, tutti/bianchi e oro, alcuni/sollevati un poco dal/vento serale; non mi occorre seguirvi dove siete ora,/in pieno campo velenoso, per sapere/la causa della vostra fuga, passione o rabbia umana: per cos’altro/avreste lasciato cadere/tutto quello che avete raccolto?»

Louise Glück, la poesia che tiene insieme terra e cielo

Nella raccolta L’iris selvatico la voce di Glück cambia, possiamo sentire un tono più terreno, terreno come ciò di cui ci parla, parole fatte di erba e di profumi, di fango e di alberi, frasi che sono come germogli che attecchiscono dentro la nostra testa, dentro la nostra immaginazione e diventano momenti luminosi. Immagini pulite e ordinate, scene intime, gesti delicati che conducono il lettore in una realtà diversa, quasi artefatta. Una raccolta che somiglia quasi ad un’elegia, ad un canto, a qualcosa che si avvicina al sacro senza mai farne parola.

 

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Louise Glück con le sue poesie tiene insieme la terra e il cielo, ciò che è materiale con ciò che non ha corpo e rischia di andare perduto, proprio come fanno i ricordi più difficili.

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