“Lor signori” di Gonçalo M. Tavares. Un viaggio che sarebbe piaciuto a Salgado
Quando Sebastião Salgado arrivò alle Galapagos, si trovò di fronte a un forte imbarazzo. Fino a quel momento aveva avuto a che fare con gli uomini, ma, su quelle isole vulcaniche, dall’altra parte del suo obiettivo c’erano solo animali, nuovi e spiazzanti per il suo occhio, e dal passato molto più antico rispetto a lui. Come affrontarli? Come fotografarli? Per Salgado era importante cogliere, e far cogliere a chi avesse osservato le sue foto, l’essenza di quegli esseri nel loro habitat e cosa aveva provato lui a fronteggiare una tartaruga gigante o un'iguana lunga più di un metro. Così, dopo aver girovagato cercando una chiave di lettura per quel sovrapporsi di specie e di colori su una terra dal dorso aspro, stordito da tale accanita varietà, si fermò. Attese che la Natura venisse da lui, rendendosi conto che la zampa di un'iguana non differiva poi così tanto da una mano umana, magari da quella di un cavaliere medievale con tanto di cotta di ferro a difenderla.
Immergersi nella lettura di Lor signori di Gonçalo M. Tavares (Edizioni Nottetempo, 2014, traduzione di Marika Marianello) ci porta allo stesso dolce imbarazzo provato da Salgado, a quel «leggero stordimento dannoso per lo studio ma favorevole alle fantasticherie», per dirla con Calvino.
Tavares crea un quartiere immaginifico (O Bairro) e quanto mai allettante per i lettori. In questa ipotetica zolla di paesino, incontriamo Calvino alle prese con le sue passeggiate e osservazioni, Kraus a fare sfoggio della sua fiaccola satireggiante, Walser che lascia alle sue paure il sopravvento e Valéry che divide in lati, quadrati e sconnesse ragioni ogni azione umana.
All’inizio il lettore potrà smarrirsi dietro le falcate di Calvino che tiene la sua sbarra sempre parallela al suolo il sabato mattina, o arrabbiarsi con sé stesso per non aver pensato alla fiorente carriera di assaggiatore di sedie che ci fa intravedere lo scrittore italiano. Continuerà a leggere però, nascondendosi nel primo angoletto libero della nuovissima e “rottissima” casa di Walser col timore di non trovare più posto per le sue paure. Crederà che Tavares abbia seguito un nostro famoso politico ex-senatore per qualche giorno, perché “Il Capo” che compare nelle cronache immaginarie scritte da Kraus sembra lui spiccicato. Poi però si domanderà quand’è stata l’ultima volta che lui a un Capo del genere ha fatto da assistente. E allora si sentirà totalmente perso e dovrà continuare a leggere per scoprire che il signor Valéry usava delle scarpe bicolori ben prima che ci pensasse uno shoe designer in Spagna, che di certo non le ha usate a dimostrazione di un paradosso.
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La soluzione è quella che ci ha offerto Salgado davanti alla tartaruga: fermatevi. Smettete di inseguire Calvino e il suo palloncino, Kraus e i suoi perfetti Capi del nulla, Walser e le sue illusioni già distrutte in partenza, il signor Valéry e le sue folli misurazioni delle distanze. E non chiedetevi dove diavolo vi vogliano portare questi signori. Stanno solo cercando voi, ma se correte loro dietro non vi vedranno mai. Fermatevi. Sì, così, un bel respiro. Datevi appuntamento al centro del bairro di Tavares e prendete con lui un caffè. Vedrete che lor signori si fermeranno prima o poi a osservarvi e inizieranno a parlare. Vi è concesso anche non essere d’accordo e contestare.
È questo il bello della costruzione di Tavares: narrarvi di pensatori fin nelle loro crepe più fastidiose, reali o immaginifiche. Se sia più importante il chiodo che perfora il muro, il martello che spinge il chiodo o l’uomo che stringe il martello, è una questione, come direbbe Valéry, relativa. Prendete appunti invece: la vostra osservazione dell’altrui nevrosi non sarà più la stessa dopo questa lettura.
L’attenzione di Tavares per la parola è maniacale, riuscendo, con Calvino e Kraus meglio che con Walser e Valéry, a entrare nella mente dei lor signori protagonisti dei suoi racconti al punto che l'autore diventa più abile di loro nell'assumere le rispettive manie. A volte l’attenzione è tale da lasciar intravedere un piccolo compiacimento nel reiterare situazioni sì perfette che avremmo preferito non rivedere ancora. Ma è un peccato che possiamo perdonare a Tavares, che ci regala lo spiazzamento cui dovrebbe puntare ogni scrittore.
La casa editrice Nottetempo, prima in Italia a proporre in un’unica raccolta questo gruppo di abitanti del “bairro tavaresiano” (dopo che singolarmente alcuni testi erano già usciti per Guanda), dimostra di essere consapevole che qualcuno dovrà pur dare da mangiare alla Poesia, intesa in questo caso non solo come l’animale preferito da Calvino, ma anche come voracità senza pari per la vita nelle sue forme più bizzarre e al contempo a noi così uguali. Speriamo che vengano pubblicati presto i racconti degli altri abitanti del Bairro. Eliot e Brecht i miei personali suggerimenti per iniziare.
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