Lo yin-yang del self-publisher
[Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 5/2013, La gioia dell’incontro]
Della serie con Instagram siamo tutti fotografi, con i blog tutti giornalisti e con il self-publishing tutti scrittori! Il dibattito sull’autorialità nell’era digitale trova nello “scrittore” che si autopubblica il suo vaso di Pandora.
Sono in molti a puntare il dito contro il rito abbreviato del self-publishing: si dribbla la selezione delle case editrici, molto severa nel caso degli esordienti; si salta a piè pari la correzione delle bozze e il libro deve solo essere stampato o liberato nell’etere come e-book.
Invece di sparare a zero, vale forse la pena appellarsi a un po’ di saggezza orientale e chiedersi se, per il self-publisher, possa valere il principio del tao: nel romantico yang dell’autore indie c’è sempre un po’ di autoreferenzialità yin, così come nel vanitoso self-made writer è racchiuso anche un ammirevole progetto imprenditoriale.
In Italia, il fenomeno è ancora agli inizi, ma l’AIE (Associazione Italiana Editori) ne ha colto la portata, dedicando al self-publishing il focus dell’Edi-tech 2013. Dai dati aggiornati a giugno 2013 risulta che, nel nostro Paese, gli e-book autopubblicati sono almeno 3.500 e rappresentano il 5% circa degli e-book in commercio in Italia (le autopubblicazioni cartacee sono 35.800, ovvero il 4% dei libri stampati).
Già si evidenzia una prima tendenza: il self-publisher ha capito che è meglio puntare sul formato digitale, più facile e immediato da promuovere e meno oneroso. In Italia, infatti, dal 2011, i libri autopubblicati in e-book sono cresciuti del 94%, contro il 29% del self-publishing cartaceo, che, tuttavia, può contare anche sulla modalità print-on-demand, ovvero la stampa sul momento della singola copia acquistata, con buona pace dello spreco di carta e bypassando i costi di magazzino.
Nell’identikit del self-publisher di successo può forse mancare il talento, ma non un’attitudine all’autopromozione. Non basta scrivere un libro, bisogna anche saperlo vendere. A emergere dal mare del self-publishing non sarà necessariamente l’autore più “bravo”, ma quello più devoto al Dio marketing.
Sono indubbie, ad esempio, le doti di self-branding di Fabrizio Boaretto, il quale è riuscito a vendere 12mila copie del suo romanzo autoprodotto. L’autore novarese ha iniziato con una stampa di 500 copie e, con l’autopromozione sul territorio, ha convinto migliaia di lettori. A fronte di un’unica vendita online però i numeri sono sospetti…
Eppure dei travolgenti successi anglosassoni ci sono prove certe. Numeri possibili anche grazie alla vastità di pubblico che legge in lingua inglese e a una diffusione dell’alfabetizzazione digitale che in Italia è lontana.
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Prendiamo il tormentone dell’estate scorsa: la trilogia soft porn di E.L. James. Il primo dei tre libri, Cinquanta sfumature di grigio, ha ormai venduto più di 70 milioni di copie. Ben oltre 1 milione sono e-book: cifre che hanno dato alla scrittrice inglese la tessera del ristretto Kindle Million Club, riservato ad autori che hanno superato il milione di copie digitali vendute su Amazon.
A farle compagnia nel cerchio degli eletti, fra nomi quali Steig Larrson e J.K. Rowling, altri due autori americani venuti dal self-publishing: l’assicuratore giallista John Locke e la venticinquenne Amanda Hocking, con i suoi romanzi vampireschi in stile Twilight.
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