Lo stupore del «fantastico», ieri e oggi
Autore: Emiliano ZappalàMer, 24/11/2010 - 10:41
Lo stupore del fantastico fra passato e presente
«Non c'è via più sicura per evadere dal mondo, che l'arte»; così affermava Goethe. L'arte che è potenza creatrice e allo stesso tempo demolitrice, capace di fondere e ricreare il mondo, può dar vita alle innumerevoli «irrealtà visibili» di Borges.
Fantasia e arte, fantasia e letteratura, sono binomi quasi inscindibili che accompagnano la storia letteraria sin dalle sue stesse origini. E tuttavia il dibattito sulla letteratura fantastica, solo di recente è riuscito a trovare una propria dimensione critica specifica.
È stato il saggio di Tzvetan Todorov del 1970 edito in Italia da Garzanti con il titolo La letteratura fantastica, ad imporre il genere fantastico come una delle più importanti zone letterarie della modernità. Prima si tendeva a relegare la letteratura fantastica ad alcuni testi particolari, riducendone spropositatamente il campo d'azione nel corso degli anni, oppure la tendenza opposta a ritenere parte della letteratura fantastica qualsiasi testo in cui venivano sovvertite le regole del reale. Si è finiti con il ridurre la letteratura fantastica ad un genere che vive solo in opposizione al genere naturalistico-realistico. Fantastico era ciò che non può essere reale.
È stato Todorov a rompere queste tendenze e ad evidenziare il ruolo centrale del lettore all'interno del "genere fantastico" (le virgolette indicano il fatto che lo stesso critico russo non fosse del tutto convinto della definizione). Il fantastico è, per lui, il momento di esitazione del lettore di fronte ad un evento irreale ed inspiegabile, la momentanea irruzione del soprannaturale, dell'assurdo, dell'inspiegabile in un mondo che è il nostro ed in cui vigono le nostre regole.
Il fantastico vive solo nell'attimo di quell'esitazione, si muove solo lungo l'arco di quello sgomento e di quello stupore, al di qua ed al di là del quale non si parlerà più di fantastico, ma di «strano» o «meraviglioso». E qui ci fermiamo, rimandando al saggio di Todorov, perché scendere più nel dettaglio, richiederebbe troppo spazio.
Quel che a noi adesso interessa è che, così facendo, Todorov ha fatto del "genere fantastico" un genere emblematico della modernità e della letteratura ottocentesca, rendendogli una dignità prima soltanto ambita ma mai davvero raggiunta.
Ed è proprio in epoca moderna, in quell'Ottocento dei grandi cambiamenti storici che la letteratura fantastica ha toccato le vette più alte, ha visto i suoi autori più prestigiosi; da Poe, a Gautier, dalla Radcliffe a Mary Shelley, fino a Capuana. Questo perché quell'attimo di stupore del lettore, quel momento di pura esitazione, nell'epoca del progresso scientifico delle scoperte e dell'industrializzazione, si amplificavano e risuonavano con una forza più impetuosa. La letteratura fantastica divenne lo strumento privilegiato per rompere il tabù, per narrare l'inenarrabile, mettere in scena le paure più nascoste e i dubbi più dirompenti di umanità troppo sicura, ma di una sicurezza troppo apparente.
Dietro i fantasmi ed i vampiri, dietro le resurrezioni, gli oggetti maledetti, le ombre, le apparizioni improvvise si nasconde tutta «la coscienza sporca dell'Ottocento positivista»; la pulsione animalesca, il desiderio morboso e incestuoso, la sete d'amore folle ed inappagabile, lo spirito di vendetta, la paura della morte, il terrore del nulla e dell'eterno, la sfiducia tanto nella scienza quanto nella religione, l'incredulità di fronte all'ignoto. La letteratura fantastica non è affatto solo letteratura d'intrattenimento. È molto di più. Gli scrittori sfruttano quell'attimo d'esitazione per creare una breccia nel lettore, per far affiorare l'interiorità, la pulsione segreta, per far implodere e scardinare la certezza; una breccia attraverso cui è possibile fare passare l'incomunicabile, il taciuto, l'impronunciabile. La letteratura fantastica è il genere moderno che vive proprio delle contraddizioni e dei dissidi dell'epoca moderna.
Allora oggi, in epoca post-moderna e contemporanea, anche la letteratura fantastica ha dovuto riscoprirsi e modificarsi. Dopo Nietzsche, Marx e Freud, il dissidio e la lacerazione sono troppo evidenti; oggi la complessità è troppo complessa, al punto che il reale ed il fantastico si sono trovati fusi in un unico corpo mostruoso. La bomba atomica, la guerra fredda, il genocidio, l'uomo sulla luna. Per generare quello stupore oggi non c'è più bisogno dell'elemento fantastico, basta riprendere la realtà con tutto il suo terrificante carico di incomprensibilità. La psicanalisi, la tecnologia, l'ipocrisia hanno reso tutto troppo denso, impossibile da scardinare con il grimaldello della parola. Per infiltrarsi, la parola e la letteratura devono compiere un gesto estremo; devono esplodere, devono ricercare il nulla, devono cercare di spogliarsi e svuotarsi, devono «compiere il proprio suicidio».
Se un tempo il fantastico era l'eccezione, oggi è la regola. Per Sartre, Blanchot, Kafka, e per Camus, Ballard, De Lillo, e ancora per McCarthy o i Cohen o David Lynch, insomma per gli autori contemporanei «non esiste altro elemento fantastico che l'uomo». L'uomo che, dopo Freud, è stato spogliato di tutti i suoi segreti, l'uomo nudo, splendido e terrificante, l'uomo che affascina e sgomenta se stesso. E quello stupore oggi è totale, persistente, continuo, ingestibile. La nostra condizione di lettori si è totalmente, irrimediabilmente, modificata. Perché, insieme a Todorov, che osserva Gregor Samsa svegliarsi e scoprirsi improvvisamente tramutato in insetto, noi lettori contemporanei ormai «non ci stupiremo mai abbastanza di questa mancanza di stupore».
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