Lo strapotere delle macchine. “La fabbrica dell'assoluto” di Karel Čapek
Nella sua introduzione Giuseppe Dierna, nel parlare del romanzo La fabbrica dell'assoluto (Voland), dopo aver fatto il nome di Balzac, autore di La ricerca dell'assoluto, offre un ricco spaccato del contesto culturale in cui si inserisce il testo di Karel Čapek. DaLa fine del mondo di Flammarion del 1984 a Gli ultimi giorni dell'umanità di Karl Kraus del 1922: lo stesso anno della pubblicazione di Fabbrica dell'assoluto, dopo essere uscito a puntate su un giornale.
Dai titoli dei lavori citati da Dierna si evince quali siano i temi trattati: lo strapotere delle macchine, la feticizzazione delle scienze, gli eccessi del potere politico. Altri romanzi dell'epoca hanno per protagonista un gas venefico, o comunque in modi più o meno differenziati capace di distruggere gli equilibri planetari. Quale il “gas” escogitato da Čapek?
Uno scienziato inventa uno speciale carburatore in grado di sviluppare una quantità pressoché infinita di energia con il vantaggio di bruciare pochissima materia. Lo stesso inventore si dimostra spaventato dai futuri effetti dell'invenzione, capace di sconvolgere i vigenti sistemi di produzione. Chiama in soccorso un vecchio amico, imprenditore aperto a ogni soluzione pur di incamerare denaro. Dietro investimento mirato dell'industriale, il carburatore macina energia e fa funzionare le fabbriche a tal ritmo che a un certo punto la merce prodotta supera di gran lunga la domanda di acquisto. La merce di ogni tipo e uso viene ammonticchiata in ogni angolo del pianeta con il risultato di saturarlo di Assoluto. Infatti il prodotto liberato dal Carburatore è Dio! La guerra “dei mondi” che seguirà allo sconvolgimento e contenimento dell'Assoluto si configurerà come una guerra “di religione”. Dio è offerto al miglior offerente e per contenderselo si uccide. Rispetto ai romanzi precedenti nel testo di Čapek fa spicco la satira contro ogni forma di potere religioso.
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Pubblicato una prima volta in traduzione italiana nel 1984, trama e sviluppo risentono del modo espressionista, là dove i personaggi e le vicende rappresentate sfuggono l'empatia del lettore per fungere come espressione di idee di cui l'autore è l'indiscusso portatore. Più che di personaggi si dovrebbe parlare di “figure” in senso astratto, “silhouette” funzionali dell'umano, di pretesto all'Idea. Non è un rilievo negativo che si fa, quanto la connotazione di talune geografie letterarie in cui né la psicologia né il naturalismo sono modi del narrare. L'espressionismo in letteratura, si può dire, si serve peculiarmente più di manichini che di esseri umani, la cosa comporta la stilizzazione delle idee-base, l'esasperazione della critica: vale la teatralizzazione, la percepibile e smaccata caratterizzazione allegorica. L'uomo è pretesto “scenografico”. Non si può parlare di visionarietà, di favola, niente antropomorfismo, il Carburatore nel lavoro di Čapek tale resta, oggetto di reificazione concettuale.
Vige nello svolgimento di La fabbrica dell'assoluto la sperimentazione, la lucida trasgressione dei canoni del romanzo “borghese”, vale “l'illustrazione” più che la narrazione (le pagine del testo di Ĉapek sono intervallate dai disegni di mano del fratello, elementari, quasi infantili). Presente una parte consistente di intellettualismo, non manca, paradosso tra i paradossi narrati, un'altrettanta consistente ingenuità. Un certo didascalismo si serve di un’opposta farraginosità, l'artefazione è sorretta dalla sincerità e serietà dell'intento di esporre e denunciare. Ne risente la libertà del narrare, il prezzo è la costrizione tematica che limita la tensione del messaggio.
Romanzo anti-naturalista, scorre per grotteschi intrecci che richiedono da parte del lettore una lettura straniata, lontana da immedesimazioni, partecipazioni emotive e adesioni biografiche. La storia, con le ovvie dovute differenze, può ricordare la ballata del 1797 di Goethe intitolata Apprendista stregone messa poi in musica da Paul Dukas, in cui si narra l'incantesimo operato per mezzo di una scopa che, nonostante i tentativi di fermarla segandola in due, continua, raddoppiata, a svolgere i compiti assegnati all'apprendista sfuggendo ogni controllo. Nel caso del romanzo di Ĉapek lo stregone è un esaltato inventore e la “scopa” è il Carburatore che incessantemente produce energia.
Già nel 1920 Čapek aveva trattato un tema simile in R.U.R. in cui per la prima volta compare il termine robot, derivato dalla parola ceca robota che significa “lavoro”. Ĉapek non usa il termine per indicare ingegni meccanici ma umanoidi organici prodotti da quella che in seguito verrà definita “ingegneria genetica”. In La fabbrica dell'assoluto il compito avveniristico spetta al Carburatore che con la sua incontrollata super produzione sconvolgerà l'intero pianeta causando, come si è detto, guerre “di religione”. L'Assoluto prodotto oltre ogni misura e ragione. Il Carburatore non produce oggetti, compie “miracoli”.
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Nel 1922 la definizione “religione oppio dei poveri” di Karl Marx era ben conosciuta, la Rivoluzione d'ottobre del 1917 viene consolidata e avviato il “socialismo di mercato”, posto per la religione doveva essercene ben poco. Ma la satira di Ĉapek non si accanisce nella sola direzione della religione cristiana, vigente ai tempi dello zar, ma contro ogni forma di idolatria religiosa, da cui non è disgiunto il potere politico, compreso quello sovietico. Non c'è “comunismo” in Ĉapek, né anticomunismo, e nemmeno uno storico utopistico “socialismo”, lo scrittore opera sul piano pessimista dell'asservimento della mente umana da parte di ogni sorta di potere.
Il talento grottesco di Čapek si esprime pure nei libretti d'opera, tra cui va ricordato L'affare Makropulos su musica di Janáĉek.
Per la prima foto, copyright: Museums Victoria su Unsplash.
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