Lo strano western ambientato a Venezia. “La questione dei cavalli” di Arianna Ulian
La questione dei cavalli, primo romanzo di Arianna Ulian, inaugura presso le Edizioni Laurana la collana di narrativa italiana “Fremen”, curata da Giulio Mozzi.
Il romanzo si svolge a Venezia che, come scrive Dario Voltolini nella postfazione, è «una Venezia che nessuno si poteva aspettare: una decisa liquidazione di ogni stereotipo, di ogni immagine prefabbricata».
Mr. C., un visionario regista canadese, sceglie Venezia come ambientazione per il sequel del film western Il mio nome è Nessuno. È giugno, è tutto pronto per l’inizio delle riprese, ma una serie di errori e di cavilli burocratici complica lo sbarco dei sette cavalli che sarebbero dovuti comparire nelle riprese. Il caldo rende tutto ancora più difficile, si susseguono voci che collegano la presenza della troupe a strani eventi: una moria di pesci, una muffa rosa che appare sui muri delle case. A rendere ancora il tutto più complicato è un gruppo di comparse che si impossessa degli abiti di scena e vestiti da cowboy battano la città come il Mucchio Selvaggio del famoso film di Sam Peckinpah spinti da una rabbia che non ha un obiettivo preciso, ma che si rivolge a tutto e tutti.
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Momo, un bambino speciale, sensibile e molto amato dai suoi coetanei, riesce a sentire le emozioni degli altri e anche quelle dei sette cavalli che diventano il suo chiedo fisso: li sogna, li sente, percepisce il loro dolore. E cerca di scoprire cosa sta accadendo. È testardo, gli piace guardare e memorizzare i particolari, anche attraverso un binocolo, e riesce a descriverli meglio degli altri. La sua voce si mescola a quella di Angelo, il giovane direttore tecnico, e a quella di una giornalista, ognuno attraverso il proprio sguardo racconta la storia, un filo narrativo che si mescola e si dipana accompagnato dai suoni tipici della città lagunare che qui è quasi riplasmata come se facesse parte di un sogno, di una visione:
«A metà mattina la città pare tratteggiata a matita; la luce così stridente, bianca ma non luminosa, un bianco acido senza trasparenze, mostra Venezia come una carcassa animale, il grigio e il rosa esangue, poca carne ancora attaccata alle ossa, palazzi gabbia toracica, costole mobili che sembrano galleggiare. Così diverso da quello che si aspettava!»
Un racconto polifonico in cui la narrazione procede per salti temporali, e al tempo presente dei fatti si mescola il passato grazie alla ricostruzione della giornalista con spirito animalista che è a Venezia per seguire l’incredibile vicenda dei cavalli accaduta cinque anni prima attraverso la voce di coloro che la vissero e che appare ancora pulsante, capace di richiamare i sentimenti di rabbia e delusione che ne segnarono la fine. A queste voci si unisce la voce stessa dei cavalli. Ed è proprio questa, quasi un coro da tragedia greca, che colpisce il lettore, una lingua sinestetica, percepita, resa in versi polisindetici:
«l’uomo-paura parlava / ciascuno ci ha nominati / ricordo di donna era il nome / con questo ci ha sempre chiamati // ma non il ricordo / ci ha fatti svegliare / invece più lenti più laschi / noi siamo affondati / nei giorni passati // abbiamo iniziato morire».
Anche i colori sono policromatici e si sovrappongono come pennellate ora tenui, ora più incisive: il verde mobile del mare, l’azzurro informe del cielo, il grigio patinato della pietra, tutto cambia colore a seconda della luce.
La questione dei cavalli è un libro certamente non usuale nella trama e nella scrittura scandita da un ritmo che fluttua dai toni alti a quelli bassi con buona sapienza tecnica e letteraria. Un testo pieno di rumori, il rumore dell’acqua, quello delle ruote dei tipici carretti veneziani per la spesa, quello degli zoccoli dei cavalli, tutti rumori che fanno da sottofondo alle immagini, ai particolari ravvicinati, il tutto ben amalgamato, senza sbavature.
Il racconto scorre nella sua apparente normalità come se davvero sembrasse logico immaginare una troupe cinematografica impegnata con un western a Venezia, come se fosse normale ambientare un western tra calli e sestieri, ponti e canali, e immaginare cowboy che cavalcano in questo scenario piuttosto che nelle praterie.
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Arianna Ulian è molto brava nel solleticare l’immaginario del lettore attraverso spunti e immagini evocative così come avviene nel cinema, evocare, generare stati d’animo attraverso i luoghi, gli oggetti e i suoni. Bellissimo l’esempio tratto dalle sequenze fotografiche di Muybridge, pioniere della fotografia che dimostra, in una sequenza di foto, che il galoppo rappresentato artisticamente fin dalla preistoria «come una specie di volo del cavallo con gli arti in estensione avanti e indietro», in realtà consiste sì in un alzarsi da terra, ma «i suoi arti sono raccolti sotto di lui. Raggrinziti, rattrappiti come dita distoniche».
La questione dei cavalli è un romanzo ricco di spunti e ben articolato. Arianna Ulian avrebbe potuto forse soffermarsi di più su alcune descrizioni o su alcune riflessioni, approfondirle per renderle ancora più incisive, ma resta comunque un romanzo veramente molto interessante.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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