Lo stato dell’arte: ma è arte o immondizia?
L’ultimo caso curioso è accaduto a inizio settimana a Bari. Un’addetta alle pulizie ha scambiato per immondizia alcune opere che avrebbero dovuto essere esposte alla rassegna di arte contemporanea Display Mediating Landscape e le ha gettate, destinandole alla discarica. Di pochi giorni prima il caso di un muratore che, a Ravenna, nel sistemare la sala nella quale si era appena chiusa una mostra, ha stuccato quello che aveva tutta l’aria di essere un buco nel muro, ma in realtà era l’opera di uno street artist. Come dire, opere d’arte talmente realistiche da non essere riconosciute come arte.
Certo, si dirà che chi ha “rovinato” l’arte, stavolta, non era una mano esperta, che un’addetta alle pulizie forse non è proprio un’esperta d’arte. Ma il fenomeno suscita quantomeno curiosità. Senza scomodare Manzoni (Piero) e le sue deiezioni, tanta arte contemporanea porta a chiedersi quanto veramente certe opere sappiano parlare (e magari, anche, cos’abbiano da dire) a chi si pone loro davanti. Viene in mente quel dialogo de La grande bellezza nel quale un’artista intervistata da Jep Gambardella sul significato della sua arte risponde: «Io sono un'artista, non ho bisogno di spiegare un cazzo», con Servillo/Gambardella che le replica: «Bene, allora scrivo "vive di vibrazioni ma non sa che cosa sono"». Già, forse lo stesso potrebbe accadere dal vero se Gambardella incontrasse Millie Brown, l’artista che crea le sue opere vomitando latte colorato direttamente sulla tela.
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Ci sono anche esempi dagli intenti più chiari. Stimolare una riflessione sulla condizione femminile, come fanno l’artista cilena Carina Ubeda, che dipinge utilizzando sangue mestruale, e l’australiana Casey Jenkins, che in una performance pubblica ha tessuto una sciarpa con gomitoli di lana inseriti direttamente nella vagina. Ma anche in questi casi, pur lasciando perdere la spinosa questione su “è arte o non è arte?”, viene da chiedersi se non sia ormai proprio più possibile fare arte senza cadere nel trash. Vero è che nel bailamme, nella “baroccaggine” del mondo contemporaneo, per far notizia ed emergere, anche solo per ottenere quei famosi 15 minuti di celebrità, occorre stupire; ma non si può proprio stupire senza ripetere quanto già accade in tv, dove per attirare l’attenzione si grida, ci si spoglia e si rasenta spesso il ridicolo? E poi, tornando ai casi iniziali, quanto riescono (davvero) queste forme d’arte a rendersi riconoscibili e cosa riescono a comunicare? Se qualcuno vuol provare a rispondere…
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