“Limonov” di Emmanuel Carrère
Scrivere una recensione su Limonov (traduzione di Francesco Bergamasco, Adelphi, 2012), la biografia romanzata di Eduard Veniaminovich Savenko (alias Eduard Limonov) curata da Emmanuel Carrère, presenta non poche complicazioni. I giudizi di valore sull’opera dello scrittore francese corrono il rischio d’intrecciarsi e confondersi indissolubilmente con i giudizi sul suo protagonista. Su tali opinioni (entrambe) si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro, ma di certo non spetterebbe a me. Da qui la mia scelta di affrontare il testo come si fa con un’opera letteraria, di trattarlo come un romanzo. Credo sia questo il suo habitat naturale e che Limonov ne rappresenti un esemplare della miglior specie.
Il libro che porta il suo nome racconta la vita di Eduard Limonov, scrittore e leader politico russo che, nel corso della sua “carriera”, «è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani […], vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados». Carrère ripercorre le tappe fondamentali della sua ascesa nell’ambiente letterario e politico, le esperienze sessuali eterogenee e il rapporto turbolento con le sei donne che si avvicendano nella sua vita sentimentale, le detenzioni in carcere e le prese di posizione sempre radicali, le luci e le ombre di un personaggio multiforme e mai prevedibile un personaggio vitale, spericolato e a tratti violento, coerente di una coerenza ineccepibile ma che è soltanto sua, «che si vede come un eroe, ma [che] si può considerare anche una carogna», sul quale l’autore stesso preferisce sospendere il giudizio. Tuttavia il giornalista francese è convinto «che la sua vita romanzesca e spericolata» racconti «qualcosa, non solamente di lui, […] non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale».
La storia di Limonov, infatti, percorre settant’anni cruciali per le vicende dell’Europa e per l’affermazione di nuovi equilibri mondiali: dal secondo dopoguerra ad oggi si assiste al disfacimento dell’unione sovietica, alle guerre balcaniche, all’11 settembre. È proprio su questo “sfondo” che il protagonista sceglie sempre di intervenire e mai di farsi da parte, ricominciando ogni volta daccapo e rischiando talvolta la vita, ma meritandosi, infine, un giusto, duplice posto nei libri, che lo menzionano come letterato e uomo d’azione. La sfida ben riuscita di Carrère si rivela, così, quella di raccontare in ordine cronologico ognuna di queste avventure, che rappresentano nella loro incongruenza e avventatezza, nel loro esito sempre imprevedibile e spesso balordo lo spirito autentico del “personaggio”, l’hic et nunc dell’uomo Limonov. Splendido il passo che sembra condensare in poche righe ogni sfaccettatura del rivoluzionario e, insieme, dell’essere umano più consapevole, e che descrive «una foto in cui si vede Eduard in piedi, con i capelli lunghi, trionfante, e con addosso quella “giacca da eroe nazionale” […], e ai suoi piedi Tanja, nuda, incantevole, gracile, con quei suoi piccoli seni sodi e leggeri che lo facevano impazzire». «Quella foto – prosegue Carrère – è il suo talismano. Quella foto dice che, qualsiasi cosa accada, per quanto in basso possa cadere, un giorno lui è stato quell’uomo. E ha avuto quella donna».
Per quanto riguarda lo stile, infine, lo scrittore francese (vincitore del Prix Renaudot) si muove perfettamente a suo agio in una prosa asciutta e brillante, mai faziosa ma elegantemente caustica, che sa di reportage giornalistico e di romanzo ben congegnato. In chiusura di libro, il suo savoir faire lo distoglie dal troncare bruscamente la biografia con una considerazione ad effetto dello stesso Limonov, secondo cui la sua vita sarebbe stata «una vita di merda». Non lo pensava affatto Limonov, non ci ha creduto Carrère.
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