Licia Troisi, tra fantasy e divulgazione scientifica
Mentre i fan di Licia Troisi aspettano con impazienza di sapere come andrà a finire tra Sam e Pam nel seguito di Pandora, la regina del fantasy made in Italy spiazza tutti portando in libreria Dove va a finire il cielo (Mondadori), un testo cosiddetto di divulgazione scientifica che “racconta” che cosa, oltre l’amore e la poesia, «move il cielo e le altre stelle». Spiazza, in effetti, è un verbo improprio, perché solo chi accosta superficialmente il nome dell’autrice romana al genere che l’ha resa celebre ignora che, prima di diventare una scrittrice di culto, Licia Troisi si è laureata in astrofisica e ha conseguito il dottorato in astronomia.
Di questo cambiamento e dei suoi piani futuri, incluso il ritorno al fantasy, abbiamo parlato con Licia Troisi.
La verità: da quanto tempo desiderava scrivere questo libro? E perché, se una ragione particolare c’è, proprio adesso?
L’idea mi girava in testa almeno da cinque anni, ma non si trovava mai il momento giusto. Adesso ci è sembrato quello più adeguato, anche perché Nashira è concluso, e prima di far elaborare un’altra saga volevo un po’ di tempo. Scrivere finalmente questo libro divulgativo è stato un buon modo per staccare e al tempo stesso fare una cosa che desideravo da tempo.
Qualche paura di disorientare i suoi lettori tradizionali o prevale l’entusiasmo di una nuova sfida, di conquistare un pubblico diverso e trasversale?
La paura sicuramente c’è. Per me, in ogni caso, questo è un terreno nuovo. Ho fatto la divulgatrice per tre anni della mia vita, ma la mia unica esperienza con quella su carta sono stati i post dedicati all’astronomia che per un certo periodo ho pubblicato sul mio blog. Però è stata sicuramente un’avventura entusiasmante; come è stato per il mio primo libro di narrativa, anche stavolta ho cercato di metterci tutta la passione che sento per l’argomento.
Uno degli aspetti che mi ha colpita in modo speciale durante la lettura è stato il linguaggio: una lingua frizzante, una narrazione (l’etichetta di “testo di divulgazione scientifica” secondo me non esaurisce completamente il contenuto) vivace, quasi un appassionato dialogo tra autore e lettore, dove si inserisce con grande agilità anche la terminologia più tecnica ma senza mai farla apparire come un corpo estraneo. Le è venuto naturale oppure ha dovuto mediare e lavorare di lima per conseguire un simile risultato?
Ho dovuto trovare la mia voce. Come ho già detto prima, le mie uniche esperienze con la divulgazione scritta sono state quelle sul blog, e si trattava di un contesto completamente diverso. Mi hanno aiutato molto Sandrone Dazieri, che è il mio mentore e scopritore ed è la persona con la quale lavoro maggiormente per l’aspetto creativo dei miei libri, e Marta Treves, editor Mondadori. Ho scritto un paio di versioni del primo capitolo, e loro mi hanno aiutata a capire punti forti e deboli della mia scrittura. Una volta trovata la voce giusta, il resto è stato piuttosto facile.
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I lettori del libro lo scopriranno comunque, ma qual è il legame – perché sappiamo che c’è – tra questo lavoro e gli altri suoi libri, a prescindere dal genere in cui si inquadrano?
Il piacere di raccontare storie. L’aspetto narrativo di questo libro non balza forse all’occhio immediatamente, ma c’è: ho cercato di raccontare tutto come fossero storie, che si trattasse di quelle delle persone che fanno scienza, o di certe scoperte, o anche che riguardassero direttamente la mia esperienza di ricercatrice. Del resto, credo che raccontare storie sia la cosa che so fare meglio.
Di tutti i fenomeni che racconta in Dove va a finire il cielo, qual è stato il più difficile da descrivere e quale, invece, quello che ha esposto con più fervore ed eccitazione?
Il più complicato è stata l’inflazione, ossia il periodo brevissimo di rapidissima espansione che ha riguardato l’Universo primordiale. Io stessa l’ho capita per bene solo durante un corso specifico che ho seguito durante il dottorato, peraltro tenuto da un bravissimo scienziato e ottimo divulgatore, Amedeo Balbi. Si tratta di un argomento piuttosto complesso, che tira in ballo concetti non proprio immediati. Spiegarlo in parole semplici è stato abbastanza difficile.
Mi è invece piaciuto molto parlare di relatività, che in verità è stata un’altra bestia nera durante il corso di laurea. È un argomento che mi appassiona, soprattutto quando si parla di onde gravitazionali, ossia le piccolissime increspature dello spazio-tempo predette dalla teoria della relatività. Le ho studiate durante il dottorato, e le ho sempre trovate un argomento estremamente affascinante: le cerchiamo da sessant’anni, ma nessuno le ha mai trovate, anche se recentemente negli ambienti scientifici gira un rumor che vorrebbe avvenuta la loro rivelazione da parte di un’antenna americana, LIGO.
Più volte nel libro lei avverte i lettori del fatto che nessuna scienza è davvero esatta (o almeno non ancora), sfatando contemporaneamente miti cinematografici e letterari. È possibile, a suo parere, che a livello più o meno inconscio, sostituiamo con l’immaginazione quello che ancora non abbiamo conquistato con l’osservazione e misurazione scientifica e che sia questa una delle ragioni alla base della sempre crescente popolarità tra il pubblico di film o libri di fantascienza?
Sicuramente. Ma l’immaginazione, come del resto diceva anche Einstein, e come splendidamente ribadito da Carlo Rovelli nelle sue Sette brevi lezioni di Fisica (Adelphi), l’immaginazione gioca un ruolo fondamentale anche nella scienza. Tutte le grandi scoperte sono frutto di idee maturate prima di tutto nella mente dello scopritore, e anche la scienza in fin dei conti non è altro che un modo di esprimere in termini di idee matematiche e di modelli mentali i fenomeni che osserviamo. Pare che Einstein a sedici anni si domandasse cosa avrebbe visto se fosse stato a cavallo di un raggio di luce con una torcia in mano: il fascio della torcia l’avrebbe preceduto o no? In questa domanda c’è già il germe della relatività ristretta.
Sappiamo che nel 2016 uscirà il secondo volume della saga urban fantasy di Pandora, ma possiamo aspettarci anche altre incursioni nella saggistica in futuro?
Tutto dipende, ovviamente, dall’accoglienza che riceverà questo libro. A me piacerebbe molto continuare, perché divulgare mi è sempre piaciuto e, anche quando ho terminato la mia collaborazione col gruppo di divulgazione dell’Osservatorio Astronomico di Roma, ho sempre cercato di ritagliarmi piccoli spazi divulgativi. Ma, certo, se le mie opere di questo genere non incontrano l’interesse del pubblico, non ho ragione di continuare. Speriamo non sia così.
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