Libri per young adults: leggere gli adolescenti
Mai sentito parlare di young adults? “Giovani adulti”, la traduzione letterale, rimanda a un concetto piuttosto nebuloso: si riferisce a una fascia d'età di transizione tra l'adolescenza e la piena maturità ed è una definizione coniata dall'editoria anglosassone per indicare il pubblico di lettori compreso tra i 17 e i 22 anni circa, garanzia di un sicuro ritorno di mercato perché incline a seguire e lanciare nuove mode. Giovani adulti come meri consumatori, anche per le produzioni culturali? Non direi: immaginare l'identità di un lettore aiuta a soddisfare le sue esigenze profonde, al di là di valutazioni commerciali e utilitaristiche.
Anche se non amo consigliare i libri in base all'età, perché un semplice suggerimento può trasformarsi in una gabbia, se mi sembra di non avere abbastanza proposte per un target di lettori specifici, vado alla ricerca di nuovi stimoli per rimpolpare il mio scaffale. L'occasione si è presentata qualche mese fa grazie a un corso di aggiornamento organizzato dalla Sezione Veneto dell'Associazione Italiana Biblioteche, tenuto da tre esperti in letteratura per i giovani adulti reduci dal Convegno internazionale su adolescenza e lettura "La sottile linea scura" promosso dall'Associazione culturale Hamelin. Non aspettatevi, però, clamorose rivelazioni su come entrare nel mondo ostico e misterioso degli adolescenti attraverso la lettura: l'unica arma per catturare i cuori dei ragazzi è leggere noi per primi i libri che vogliamo proporre. Questo è il solo modo per condividere e sperimentare quello che cercano i giovani adulti: uno specchio in cui vedere sé stessi e il mondo a una distanza di sicurezza che permetta di vivere un'esperienza emotiva forte senza alcun pericolo reale.
Nonostante i ragazzi scelgano spesso di coltivare le loro relazioni attraverso uno schermo, continuano ad affidarsi a un mezzo antico come il libro: forse perché vi avvertono una sorta di sacralità, un tramite potente e distintivo che collega i loro sentimenti più intimi e la realtà esterna. L'unica richiesta imprescindibile che rivolgono a un libro è il rispetto di tre regole: libertà, fatica, onestà. Una storia deve poter trattare qualsiasi argomento, sviluppandosi senza remore e senza scadenze temporali: la narrazione si manifesta come atto davvero creativo solo nell'incontro tra la disponibilità del lettore a mettersi in gioco e la riflessione dell'autore, che, toccando il vissuto delle persone, non può prescindere da un impegno gravoso di totale onestà: nessun sotterfugio, nessuna scorciatoia facile per attirare l'attenzione, nessun intento didascalico. Ad esempio in Questo è tutto. I racconti del cuscino di Cordelia Kenn di Aidan Chambers (Fabbri, 2007) e in Tredici di Jay Asher (Mondadori, 2013), gli autori si fanno carico dell'angoscia di vivere dei ragazzi grazie al proprio talento, incarnando i loro protagonisti in maniera sincera, mentre Kill all enemies di Melvin Burgess (Mondadori, 2013) è la testimonianza di una convivenza tra l'autore e un gruppo di adolescenti.
Dove risiede il fascino di queste storie? Nella centralità di un corpo in trasformazione, nello stato di marginalità che emerge già dalla definizione di “giovani adulti”: un momento di passaggio, di ricerca spesso brutale di un'identità in una sfida radicale ai limiti propri e del mondo. Niente di Janne Teller (Feltrinelli, 2014) ci trascina nell'abisso di un incubo che pare senza fine, nichilistico e disperato nella mancanza di empatia del protagonista, una sorta di Medusa che contagia chi lo ascolta e trasmette tutto lo spaesamento dell'adolescenza.
I ragazzi vivono sulla linea di separazione tra opposizioni bipolari che rappresentano i tipici contrasti dell'età: i rapporti problematici con gli adulti, il sentimento ambivalente nei confronti delle proprie origini, la lotta tra il desiderio di essere accettati e la volontà di distinguersi. Che sia nel contesto di una storia d'amore, come in Love lessons di Jacqueline Wilson (Salani, 2012), o di un racconto di guerra come La grande avventura di Robert Westall (Piemme, 2014), i giovani adulti varcano uno spazio fisico e simbolico che li restituisce in grado di badare a sé stessi e di assumersi la responsabilità delle proprie decisioni.
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La letteratura li accompagna in altre realtà, in un gioco di movimenti in altezza e in profondità per affrontare il mistero e l'oscurità della propria esistenza: Lo strano viaggio di Jack Perdu nell'aldilà di Katherine Marsh (il castoro, 2007) e Skellig di David Almond (Salani, 2014) sono emblematici nella loro sovrapposizione tra vita quotidiana e deviazioni fantastiche.
L'irruzione dell'immaginario si ritrova in tutti i filoni più in voga, nuovi generi che si modellano sugli adolescenti, influenzando la loro generazione e non solo: non è un caso che il capostipite del fantasy alla moda, la saga di Harry Potter scritta da J.K. Rowling (edita in Italia da Salani, che nel 2014 ha ripubblicato tutti i volumi), esca negli stessi anni del film Matrix dei fratelli Wachowski. Questa categoria letteraria aveva già espresso pagine corpose e intense, ad esempio nel romanzo Il Mago di Ursula K. Le Guin (Mondadori, 2013), eppure è servita una rielaborazione perché fosse esportata oltre la nicchia dei lettori abituati al classico fantasy, votato all'apertura e alla rivoluzione piuttosto che alla claustrofobia e al conservatorismo rappresentati dalla scuola di Hogwarts.
Stesso destino per un altro piccolo classico, La figlia della luna di Margaret Mahy (Mondadori, 2014), che anticipa un certo gusto gotico esploso con la saga di Twilight di Stephenie Meyer (edita da Fazi a partire dal 2006). In questi libri, sono i ragazzi ad avere in mano le sorti della vita: come nei racconti di distopia, gli adulti sono anestetizzati e inermi di fronte alle catastrofi e i giovani si rimboccano le maniche. La trilogia Hunger Games di Suzanne Collins (Mondadori, 2014) e i quattro volumi della serie The Giver di Lois Lowry (Giunti, 2014) hanno avvicinato i ragazzi alla fantascienza “sociale”, forse suscitando qualche domanda sulle derive della civiltà odierna: La dichiarazione di Gemma Malley (Salani, 2008) è un condensato di problematiche filosofiche, politiche ed ecologiche. È un tentativo di svegliare la coscienza civile degli adolescenti o la constatazione che i giovani sono meno superficiali ed egoisti di quel che appaiono?
La risposta potrebbe trovarsi nel recente successo della sick-lit, la “letteratura della malattia”, che vede come bestseller Colpa delle stelle di John Green (Rizzoli, 2014): sintomo di un'attrazione empatica per il dolore, una condizione simbolica che pare anacronistica in un mondo ossessionato dal benessere e dalla salute. Leggere Wintergirls. Così leggere da bucare le nuvole di Laurie H. Anderson (Giunti, 2013) è una conferma di come il vortice del male inneschi una solidarietà quasi morbosa ma inevitabile per la necessità di trovare una corrispondenza con l'altro.
La sofferenza è il motore della narrazione, l'anello di congiunzione tra i due temi fondanti dell'esistenza, a qualsiasi età: l'amore e la morte. Gli adolescenti avranno un rapporto più radicale con le storie che leggeranno, perché stanno costruendo la propria identità in un orizzonte quasi infinito di possibilità, ma anche lettori più maturi potranno ricordare la sensazione di non percepire una direzione in quello che accade: il protagonista di Ogni giorno di David Levithan (Rizzoli, 2013) deve reinventarsi mattina dopo mattina e ogni notte deve abbandonare ciò che ha costruito, in un ciclo continuo di creazione e distruzione. Inutile cercare una spiegazione: gli anni splendidi e terribili dell'adolescenza, raccontati in Paranoid Park di Blake Nelson (RL Libri, 2009) e La sottile linea scura di Joe R. Lansdale (Einaudi, 2014), chiedono solo di essere vissuti, che ci si immerga nella storia senza cercare spiegazioni.
Succede altrettanto con i libri, che non andrebbero letti come se contenessero soluzioni miracolose ai nostri problemi: non servono a dare un senso al mondo o alla propria vita; sono inutili, non mettono ordine nel caos, anzi lo aumentano perché, come scrisse Günter Eich, «il poeta deve essere sabbia e non olio nell'ingranaggio del mondo». E allora proviamo a recuperare lo spirito degli adolescenti, quell'innocenza che cancella ogni preconcetto: Non sarà la fine del mondo di Geraldine McCaughrean (Salani, 2009) è per tutti, giovani e meno giovani adulti, l'occasione per cambiare prospettiva, a cominciare dai libri dedicati proprio a young adults.
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