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Librerie italiane – Intervista alla Libreria Modusvivendi (Palermo)

Libreria ModusvivendiSiamo alla seconda tappa del nostro giro tra le librerie indipendenti d’Italia. Dopo la Libreria Marco Polo di Venezia, restiamo sul mare e andiamo a conoscere la Libreria Modusvivendi di Palermo. Per la sua ingegnosità Modusvivendi, di proprietà di Salvo Spiteri e Marcella Licata, ha trovato posto nella recente opera La voce dei libri (Marcos y Marcos, 2014), che raccoglie i percorsi di undici librerie indipendenti che «ce l'hanno fatta».

Ha risposto alle nostre domande Fabrizio Piazza, direttore delle vendite.

 

Oltre 4500 follower su twitter sono TANTI! Che ruolo ha una presenza così forte dentro al "non-luogo" dei social network nell'aiutarvi a mantenere la libreria uno spazio soprattutto fisico?

La verità è che, da qualche anno a questa parte, è cambiato in modo radicale il mestiere del libraio, il modo di fare libreria in Italia. Non ha più nessunsenso,nessunaefficacia,starsenechiusi dentro la libreria ad aspettare che i clienti arrivino. La vendita tradizionale, quella cosiddetta da banco, si è ormai ridotta ai minimi termini. Neppure quest’ultima promozione Via col venti, del Maggio dei Libri, è riuscita a riempire, come invece ci aspettavamo, la libreria. Detto questo, il librario moderno deve fare altro, deve trasformarsi. Il fatto di essere presenti in modo massiccio sui social network in qualche modo assicura una visibilità che va ben oltre la nostra città, la nostra regione, e arriva un po’ a tutte le parti d’Italia. Mai come oggi la questione – perché è diventata un problema – delle librerie indipendenti è indagata, studiata, sviscerata in tutte le maniere dai media, dai mezzi di comunicazione, sia sui libri, sia in rete. In qualche modo questa presenza così importante ha l’effetto di incuriosire, di portare a sé nuova gente, nuovi lettori. Ormai, ripeto, i lettori non si devono più aspettare ma “stanare”: non sono i lettori che devono venire da noi ma siamo noi che dobbiamo andare dai lettori e twitter e i social network in generale hanno spesso questo effetto. E poi sono un’occasione per fare delle riflessioni in generale sull’editoria. Ci piace partecipare a discussioni sulle questioni editoriali e commerciali, oppure legate al mondo del libro in genere. Questo ha l’effetto di farci rientrare in un giro più ampio e fa sì che della libreria si parli (bene, spero).

 

Di giorno tra gli scaffali della libreria, la sera sui social, la domenica preparate le colazioni/presentazioni con gli autori...Il libraio è diventata una professione senza orari?

Salvo occasioni speciali in settimana chiudiamo alle 20, però siamo aperti tendenzialmente due o tre domeniche al mese, al mattino, per le nostre colazioni letterarie che coincidono con eventi (presentazioni oppure a volte anche iniziative rivolte ai bambini). Sono momenti in cui le persone sono più rilassate e possono concedersi una visita in libreria. Sì, è vero il librario non ha più orari perché a volte si lavora anche di sera. Per esempio il 16 giugno avremo Peter Cameron in libreria. Anzi, non in libreria perché daremo vita a un’iniziativa che avevamo già sperimentato tre anni fa: Citofonare interno Modus. Consiste nel tenere la presentazione del libro in un appartamento privato. Non in libreria, ma al di fuori, in una casa grande con una bella terrazza, in una sera d’estate… Ci saranno Perter Cameron, una persona che suonerà dal vivo, un attore che leggerà alcuni brani e la cena sarà offerta dalla padrona di casa. É un modo anche più “social”, se vogliamo, di presentare un libro con un grande scrittore come Cameron. Speriamo che la cosa funzioni come ha già funzionato precedentemente con Carlo D’Amicis e Tito Stagno.

 

La moda del momento è il libro “sospeso”, ovvero pagare un libro al "prossimo tuo". É una modalità di promozione della lettura che incoraggiate?

Sì, tra l’altro non è una cosa nuova per noi perché ce l’aveva già proposta tre anni fa un’associazione di Palermo, Accento acuto, nel periodo natalizio. Per cui adesso che è stata riportata in copertina da alcune librerie, abbiamo aderito volentieri. É chiaro che sono iniziative che non risolvono i problemi della crisi del libro e dell’editoria ma che servono in qualche modo a movimentare e a far parlare di sé e questo rientra in quell’interesse che si registra attualmente intorno alle librerie indipendenti. Ogni iniziativa, ogni movimento che può far parlare di librerie è ben accetto, quindi ben venga anche il libro sospeso.

 

Come librai, vi riconoscete nella selezione severa e intellettuale attuata dai librai protagonisti del romanzo La libreria del buon romanzo (Laurence Cossé, e/o Edizioni) o credete che la libreria debba soprattutto avere una vita propria e rispecchiare i gusti di chi vi entra?

È chiaro che la qualità è il primo criterio, il primo obiettivo, per fare libreria. Fin dall’inizio, quando abbiamo aperto, ormai nel lontano 1997, abbiamo rifiutato la logica del cosiddetto “invio d’ufficio” che proponeva, ad esempio, Mondadori. Allora funzionava che se uscivano il nuovo Ken Follet, il nuovo Grisham di turno, dalla distribuzione c’era già in programma un lancio di venti o trenta copie d’ufficio. Fin da subito abbiamo detto “no” a questa logica e abbiamo sempre scelto, selezionato uno per uno, ogni singolo titolo che doveva entrare in libreria. Detto questo è chiaro che la libreria è pur sempre un’azienda. Alla fine dell’anno i conti devono quadrare, per cui sarebbe da masochisti farsi mancare il bestseller, il primo in classifica, anche se magari qualcuno può storcere il naso nel vedere Fabio Volo in vetrina. Certo è che, facendo così, intercetti anche il cliente di passaggio. È chiaro che, poi, tra le nostre proposte cerchiamo di dare sempre spazio alla qualità, ai libri che leggiamo, alle opere che possono accontentare il nostro target. Penso che esista il libro giusto per ogni lettore ma anche che un libro non sia giusto per tutti i lettori. Vanno in qualche modo selezionati anche tenendo conto del valore più importante: i lettori. Per esempio, proprio per affermare quanto detto, il 9 giugno presenteremo in libreria Sveva Casati Modignani, ovvero la regina del bestseller, ma non per questo ci rifiutiamo di farlo. Anzi, siamo entusiasti! Siamo anche curiosi di vedere come risponderà il pubblico palermitano a questo evento che magari non si aspetta perché non è proprio nelle nostre caratteristiche presentare un’autrice del genere ma, ovviamente, il momento storico (e anche la curiosità) ci impongono di farlo.

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Libreria ModusvivendiFitzgerald diceva che quando si scrive bisogna «murder your darlings» [uccidere i propri cari]. Nel vendere libri avete mai dovuto rinunciare a un'idea (impostazione, approccio, modalità, ecc.) a voi cara?

Più che di rinunce, parlerei di aperture. Visti, appunto, i tempi, le trasformazioni del mestiere di libraio e considerata la crisi e tutti i discorsi che siamo abituati a sentire, bisogna reinventare un po’ il modo di fare libreria. Noi ci siamo reinventati innanzitutto con la diversificazione. Abbiamo inserito all’interno della libreria dei prodotti molto particolari, manufatti ad alto contenuto tradizionale e artigianale provenienti dall’India: tessuti, sciarpe, borse, giacche, tessuti per la casa… Questo fa sì che, ovviamente, il target sia ulteriormente differenziato rispetto a quello del libro.

In secondo luogo, abbiamo cercato di differenziare con gli eventi, dando vita ad appuntamenti sempre più coinvolgenti, che magari non coincidano con la classica presentazione del libro, ma che incuriosiscano il lettore, che lo trascinino dentro la libreria, così da farla diventare sempre più un luogo di incontro. Terzo, con il progetto Modusvivendi va a scuola, nato quest’anno e che sta diventando fondamentale alla luce di ciò che stiamo vivendo. É un tentativo di assicurare, in qualche modo, un futuro ai libri e ai lettori che adesso sono pesantemente minacciati dall’avvento del digitale, dall’e-book e dalla smaterializzazione dell’oggetto libro.

 

Ogni libreria (indipendente) ha il suo mood peculiare, dato dalla voce del libraio, dalla disposizione dei libri in vetrina, dal rumore del pavimento, ma anche dalla via in cui sorge e dalle persone che decidono di entrare. Riuscite a immaginarvi fuori da Palermo o siete inscindibili dal modus vivendi palermitano?

Immaginarsi fuori da Palermo sì e no. Nel senso che siamo a Palermo e abbiamo intenzione di rimanerci: non abbiamo mire espansionistiche di nessun tipo. È chiaro che fare cultura a Palermo è una mission impossible. È veramente difficile! Ci è anche capitato di organizzare un evento importante a livello nazionale, con nomi di rilievo, e che magari contemporaneamente ci fosse, in un alto luogo della città, un autore locale (magari anche molto conosciuto ma che certo non reggeva il confronto con il nostro) e magari lì ci fossero cinquanta persone e da noi ce ne fossero trenta…

Palermo è una città – purtroppo devo dirlo da palermitano – molto provinciale in cui è veramente difficile fare cultura. Devi spenderti con tutte le energie possibili e immaginabili: per ottenere venti devi dare mille o duemila. Però, allo stesso tempo, è una sfida, una scommessa che cercheremo di portare avanti nel migliore dei modi, con proposte sempre nuove per stare al passo con i tempi.

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