Libertà di stampa: il difficile rapporto tra l'Italia e i media
È sempre più difficile il rapporto tra i mass media e l'Italia, una crisi che porta il nostro Paese al 73esimo posto (su 180 Paesi presi in considerazione) nell'edizione 2015 dell'Indice della Libertà di stampa nel mondo. Il rapporto, stilato ogni anno da Reporter senza frontiere, ha visto l'Italia nel 2014 scendere di 24 posizioni rispetto all'anno precedente, con la poco rosea prospettiva di scendere ancora di più quest'anno se verrà approvata la Legge sulla diffamazione.
L'indice tiene conto di una serie di fattori riassumibili, per l'Italia, in pochissime parole: conflitto d'interessi mai risolto, mancanza di regolamentazione da parte dell'Antitrust, inferenze politiche, intimidazioni mafiose. Questioni annose che si traducono in episodi di censura e autocensura, in decine di denunce per diffamazione (spesso basta la minaccia di una richiesta di danni milionaria per imbavagliare un giornalista, specie se freelance) ma soprattutto a 43 casi di aggressione fisica e 7 casi di incendio doloso a case o auto di giornalisti (secondo i dati relativi ai soli primi 10 mesi del 2014, raccolti dall'associazione “Ossigeno per l'informazione”).
Così l'Italia, negli ultimi anni, è oscillata dal 57esimo posto del 2012 al 49esimo del 2013, perdendo di nuovo posizioni negli ultimi 12 mesi fino a conquistare la peggiore posizione in classifica dal 2002 ad oggi. Un 73esimo posto che l'Italia non aveva raggiunto nemmeno nel 2004, quando RSF l'aveva retrocessa da Paese “libero” a “parzialmente libero”, in seguito alla Legge Gasparri e alla possibilità del capo del Governo di influenzare la dirigenza Rai. Elementi che hanno contribuito a creare un sistema nel quale il giornalista non può lavorare in autonomia e libertà, un sistema ben diverso da quelli di Paesi come Finlandia, Norvegia, Danimarca, che occupano (da 5 anni di seguito) i primi tre posti della classifica, ma lontano anche da Paesi che potremmo considerare più abbordabili, come il Botswana (42esimo), la Repubblica di Corea (60, lontana dall'altra Corea, penultima in classifica, al 179esimo posto), l'Ungheria (65).
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C'è da dire che, stando ai dati elaborati da RSF, la situazione è in peggioramento un po' in tutto il mondo. Certo, peggio dell'Italia negli ultimi 12 mesi ha saputo fare solo l'Andorra (perdendo 27 posizioni), ma gli indici che misurano la libertà di stampa parlano di un deterioramento registrato un po' ovunque (in almeno due terzi dei 180 Paesi valutati), tanto che il valore complessivo, che misura il livello delle violazioni della libertà di informazione nel mondo, è arrivato a 3719 punti (l'8% in più rispetto all'anno prima, 10% rispetto al 2013, con il peggioramento più marcato proprio nel Vecchio Continente).
Come migliorare una situazione del genere è un tema molto complesso. Occorrerebbe agire in più direzioni, su una pluralità di aspetti che quelli di RSF hanno raccolto nelle 7 categorie utilizzate per stilare la classifica. Servirebbe quindi agire per:
- favorire il pluralismo, ma come si può mentre la crisi, vera o presunta, continua a far chiudere testate?;
- incoraggiare l'indipendenza, ma come farlo con contratti di lavoro e compensi che sfiorano il ridicolo?;
- modificare l'ambiente, ma come intervenire senza un'azione che prenda in considerazione interventi formativi che riguardino sì i giornalisti, ma anche i potenziali lettori?;
- cambiare il quadro legislativo, ma come modificarlo se continua a essere controllato da una politica che è tra i primi indiziati per una tale situazione?;
- aumentare la trasparenza, ma come raggiungerla in un sistema nel quale i gruppi editoriali hanno interessi anche in ambiti non strettamente legati alla comunicazione?;
- migliorare le infrastrutture, ma come agire senza idee e progetti capaci di modernizzare la potenzialità dei mass media?;
- contrastare la violenza, ma come intervenire contro azioni spesso subdole e protette da una legislazione favorevole, che prende a schiaffi l'art. 21 della Costituzione italiana?
Senza una volontà generale di migliorare questa situazione, senza la capacità di comprendere il vero valore che ha la libertà di stampa, siamo destinati a veder peggiorare ancor più il già difficile rapporto tra il nostro Paese e i mass media.
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