Letture francesi – Baudelaire e lo spleen
Celeberrima come poche, la poesia di Baudelaire ha sempre generato quel sentimento ambivalente che Freud definirebbe “unheimlich” in cui si condensano l’attrazione fatale, che conduce il lettore a inebriarsi dei suoi versi suadenti come calici di fiori debordanti di polline, e l’orrore nei confronti di una lirica che aggalla l’amore che l’uomo prova nei confronti del Bello e del Sensuale, del Misterioso e dell’Ingannevole.
Il Poeta Maledetto per eccellenza è stato colui che ha aperto la strada alla modernità letteraria ed è quindi per questo motivo che è opportuno analizzare alcuni suoi versi significativi, cercando di disvelare degli aspetti che avrebbero potuto rimanere all’oscuro a una prima lettura disattenta in quanto la sua poesia può essere compresa soltanto a partire da un profondo “ruminare ermeneutico”, dicendola con Nietzsche, ossia una continua e mai conclusa ricerca del senso tout court dell’opera. In questo articolo il nostro focus sarà puntato sullo Spleen, sull’Ennuì baudelairiano che, a nostro parere, può essere considerata una condizione esistenziale che si ripete nel tempo.
«Donde viene – dicevi – questa strana
tua tristezza, che sale come il mare
sopra la roccia nuda e nera? Quando
il nostro cuore ha già fatto vendemmia vivere è un male. Ed è un segreto, questo,
che tutti sanno (ma non tutti riconoscono, n.d.r.), un semplice dolore
senza mistero […]»
(Semper eadem, Spleen et Ideal, Les Fleurs du Mal – ed. Feltrinelli con traduzione e cura di L. de Nardis)
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“Cette tristesse étrange” è la noia, il tedio che assale l’individuo che si eleva dalla mediocrità quando vengono meno il pungolo della gioia e l’aculeo delle preoccupazioni, quando il poeta sente quel nescio quid che sale dalle viscere e che non gli permette di trovare un equilibrio atarassico. La condizione ivi descritta può essere considerata come paradigmatica del sentimento di fin dé siecle che si respirava nell’Ottocento decadente: Baudelaire, attraverso le sue metafore poetiche a dir poco eccezionali, che generano stupore e provocano il sogno, riesce a oggettivare, concretizzare e rendere in poesia quella difficoltà di vivere che è precipua all’individuo che trascende la quotidianità.
Lo Spleen è dunque una condizione di disagio esistenziale che non tutti hanno la possibilità di esperire in quanto solo coloro che sono più sensibili, coloro che enucleano significati là dove l’uomo medio non vede nemmeno la necessità di ricercarli, hanno, oseremmo dire, la capacità di soffrire l’Ennuì, come si evince da L’Albatros:
«[…] Come il principe dei nembi
è il Poeta che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell’arciere: ma esiliato
sulla terra, fra scherni,camminare
non può per le sue ali da gigante.»
(Ibidem)
Il Poeta viene paragonato al principe dei nembi, ossia all’albatro che, così maestoso nei cieli, diviene goffo quando cammina sulla nave ed è costretto a subire le vessazioni dei marinai che si prendono gioco di lui. Allo stesso modo il Poeta è un essere che trascende la realtà comune, è un Voyant, per dirla con Rimbaud, che non può essere compreso dalla meschina cerchia di individui che lo deridono e lo scherniscono perché inutile e inoperoso. Proprio per questo motivo, sceso sulla terra,fatica a trovare il suo topos perché il suo linguaggio tocca tutti i topoi e lui stesso, dunque, vive in tutti i luoghi – dando una lettura heideggeriana – dopo la Kehre del 1929 – a questa analisi.
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A questo punto possiamo concentrare la nostra attenzione sulle prima delle tre poesie che Baudelaire dedica allo Spleen in cui leggiamo:
«Ho più ricordi in me che se mille anni
avessi. […]
Io sono un cimitero dalla luna
aborrito, in cui vermi lunghi, come
rimorsi, si trascinano, e che sempre
s’avventano sui morti miei più cari. […]
Nulla eguaglia
in lentezza quei giorni zoppicanti,
quando immortali proporzioni assume
la Noia, della triste indifferenza
il frutto, sotto il peso del fioccare
nelle annate nevose. E non sei ormai,
viva materia, che una roccia stretta
da un incerto terrore, addormentata
in un Sahara nebbioso, una sfinge
ignorata dal mondo indifferente,
dimenticata sulle mappe: canta
il suo selvaggio umoresolamente
sotto i raggi del sole che tramonta.»
(Ibidem)
La neve, la quale “faintly falling, falling faintly” – si veda a proposito l’ultima storia breve di Gente di Dublino di Joyce – si dimostra doppio ambientale della condizione interiore del poeta, fa da sfondo alle correspondancesche il Poeta trova tra lo Spleen e la realtà che lo circonda: quest’ultimo diviene “roccia stretta da un incerto terrore”, una “sfinge ignorata dal mondo” che canta “il suo selvaggio umore […] sotto i raggi del sole che tramonta”. Da ciò si evince il carattere enigmatico della Noia baudelairiana che avvinghia l’animo di coloro che risplendono, ossia i Poeti che, nonostante siano luce pura, si trovano all’occaso della loro ascesa – o, forse, discesa. Questo accade in quanto essi sono calati in una società che è indifferente al Sentimento, dominata dalla tecnica, in cui ogni azione deve essere azione tecnica e volontà di potenza dell’uomo sull’uomo o sulla natura; essa, dunque, non può più essere azione contemplativa sull’uomo-con-l’-uomo e sull’uomo-nel-mondo.
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In conclusione, è evidente come quanto analizzato circa alcuni aspetti dell’Ennuì di Baudelaire possa essere anche riconosciuto nella società odierna che, strictu sensu, è figlia della mentalità ottocentesca proto-capitalistica. Il letterato, il Poeta e l’Intellettuale che comunicano valori e non spargono solo diletto – che è sicuramente utile, ma non di primaria importanza – tendono sempre più a essere assenti in una sovrastruttura sociale che nasce da un’esigenza strutturale ben precisa: la necessità dell’accrescimento continuo di potenza su potenza, il che, al di fuori del linguaggio filosofico-letterario, può essere tradotto come un’incessante volontà di accumulo di ricchezza e nient’altro, anche nei modi più abietti e riprovevoli – come la mercificazione della cultura. Si dovrebbero trattare maggiormente le opere di coloro che hanno segnato la storia del pensiero, che hanno tracciato linee di riflessione ben precise e che, per nostra fortuna, hanno avuto la caparbietà di porre in auge tematiche fino a quel momento rimaste oscure: Baudelaire è stato sicuramente uno di questi.
Per la prima foto, copyright: Jen Theodore su Unsplash.
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