Lettura critica de “Il velo dipinto” di W. Somerset Maugham
Come lettori, spesso abbiamo l'impressione che le storie con cui scegliamo di confrontarci siano qualcosa di unico e inimiltabile, ma non sempre è così. Nella realtà, un testo qualsiasi non è mai del tutto autonomo: prima di quello scritto ci saranno infatti stati altri scritti dello stesso genere, oppure sullo stesso tema. Così, dietro a ognuna delle storie di cui ci innamoriamo, ci sono complessi legami parentelari con altri libri, i cosiddetti "rapporti intertestuali".
Tra questi, possiamo certamente annoverare l'inaspettato backgound di un romanzo moderno come Il velo dipinto di W. Somerset Maugham, uscito a puntate sulla rivista «Cosmopolitan» fra il 1924 e il 1925. Nella prefazione di questo libro si viene a conoscenza di una fonte insospettabile per un'opera novecentesca: il Trecento italiano. L'autore infatti, durante il suo soggiorno in Italia, si applicò nello studio della nostra Divina Commedia, grazie all'aiuto di una giovane.
Dei tanti versi letti durante le sue lezioni di italiano, Maugham rimase affascinato da un episodio in particolare, i cui versi recitano:
«ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé disfecemi Maremma:
salsi colui che inanellata pria
disposando m'avea con la sua gemma.»
(Purg. V, 133-136)
«Ersilia mi disse che Pia era una gentildonna senese; il marito, sospettandola di adulterio e non osando metterla a morte per timore dei familiari, la portò in un suo castello in Maremma nella speranza che i mefitici vapori del luogo provvedessero alla bisogna; ma poiché ella tardava a morire si spazientì e la fece gettare dalla finestra. [...] Per qualche motivo la storia colpì la mia immaginazione. La rigirai nella mente, e per molti anni le dedicai di tanto in tanto due o tre giorni di riflessione. [...] Naturalmente la immaginavo come una storia moderna, ma non riuscivo a figurarmi nel mondo d'oggi un ambiente dove simili fatti potessero accadere. Lo trovai soltanto quando feci un lungo viaggio in Cina.»
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Con la pubblicazione de Il velo dipinto Maugham riesce a coronare il suo disegno di rifarsi alla fonte dantesca, senza imitarla in maniera pedissequa. Infatti, se la situazione delle due donne protagoniste, Pia de' Tolomei e Kitty Fane, è del tutto simile, non si può dire lo stesso del contesto.
Kitty Fane viene sorpresa dal marito Walter con l'amante, il bel Charlie Townsend. Inizialmente i due pensano che Walter, amante del decoro, non reagirà all'offesa. Un errore di valutazione, visto che il marito batteriologo, seppure apparentemente calmo, chiede alla moglie di diviorziare e sposare l'amante oppure venire con lui in quella che appare come una missione suicida: Mei-Tan-Fu, città colpita dal colera. Come da cliché, l'amante non vuole lasciare la moglie, così Kitty finisce per essere la moderna Pia de' Tolomei: una moglie trascinata lontana da casa per essere punita.
I contesti – come dicevamo – sono diversi (in un caso si ha l'Italia del Trecento, nell' altro la Cina del primo dopoguerra), ma l'analogia è evidente; un'analogia costruita su una verità innegabile: il tempo può passare, ma la complessità dei rapporti umani no. Sì, perché ciò di cui si parla sono i sentimenti. Kitty, Walter e Charlie non sono che degli exempla di come uomini e donne possano rapportarsi fra loro, degli errori che si possono commettere.
Walter è un buon partito, Kitty lo sa bene nel momento il cui accetta la sua proposta di nozze. Egli la adora, malgrado la sua superficialità: la frizzante Kitty ama la società, le carte, i balli ed essere ammirata. Così, nel momento in cui si vede umiliata dal matrimonio della sorella minore, accetta l'amore di Walter, ma lo fa solo formalmente. Il suo ideale d'uomo è infatti molto diverso: bello, affascinante, e soprattutto superficiale quanto lei.
Il fascino di Townsend subisce però una pesante battuta d'arresto con il rifiuto di divorziare dalla moglie. E così, due persone che si detestano si ritrovano in una "terra straniera", a confronto.
Da quest'esperienza traumatica non sfocerà un perdono che non può arrivare, né l'amore (come invece vorrà sia la Hollywood del 1934, che quella del 2006), ma piuttosto una compresione che porta a una crescita.
Rincontrando l'amante dopo la traumatica esperienza di Mei-Tan-Fu, Kitty usa toni ben diversi da quelli di un'innamorata:
«Per favore vattene» singhiozzò «Questa è l'unica cosa che puoi fare per me adesso. Ti odio e ti disprezzo. Walter valeva dieci volte più di te e io ero troppo stupida per accorgermene. Va' via. Va' via.»
Mi-Tan-Fu insegna a Kitty il valore del marito sotto più punti di vista, morale e intellettuale, ma non le insegna ad amarlo. Nel romazo lei lo definisce più volte «inamabile» per il suo naturale riserbo, i suoi silenzi, il suo distacco. Solo alla fine Kitty riesce ad arrivare a un'autocritica: il marito non era l'uomo ideale magari, ma lei stessa non è priva di difetti dal momento che l'aveva accettato per vanità, non considerando le conseguenze che un matrimonio privo di amore reciproco avrebbe avuto su entrambi.
All'insegna di questa nuova comprensione dei suoi rapporti con i due uomini,Kitty cerca di riparare alle sue mancanze ricostruendo un rapporto con l'anziano padre e predisponendo quello con la figlia che avrà.
«Mi manca il cuore quando penso a come siamo vissute tutta la vita alle tue spalle senza darti niente in cambio. Nemmeno un po' d'affetto. Ho paura che tu non abbia avuto una vita molto felice. Non vuoi lasciare che provi a rimediare un poco a quello che non ho fatto in passato?»
«Sono stata sciocca, cattiva, odiosa. Sono stata terribilmente punita. Sono ben decisa a salvare mia figlia da tutto questo. Voglio che sia impavida e schietta. Voglio che sia una persona indipendente dagli altri perché padrona di sé, e voglio che prenda la vita da persona libera e ne faccia un uso migliore di quello che ne ho fatto io.»
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Leggendo le citazioni riportate non si può non notare quanto profondamente sia cambiato il personaggio di Kitty e il suo modo di vedere le cose. Non è più la ragazza frivola che era all'inizio del romanzo: «il velo dipinto» a Mei-Tan-Fu si è sollevato grazie al contatto con la morte.
«Non sollevare quel velo dipinto, quel che i viventi
chiamano Vita: per quanto forme irreali vi sian ritratte
e tutto quello che vorremmo credere
vi sia imitato a colori capricciosamente,
dietro stanno in agguato Paura e Speranza,
Destini gemelli, che tessono l'ombre in eterno
sopra l'abisso cieco e desolato.Un tempo
conobbi un uomo che l'aveva sollevato: cercava
col cuore suo tenero e sperduto
qualcosa da amare, ma, ohimé, non ne trovò,
né trovò nulla di ciò che il mondo tiene
cui poter dare la propria approvazione.
Passò in mezzo alla folla distratta, splendore
in mezzo alle ombre, una macchia di luce
su questa lugubre scena, uno Spirito in lotta
per giungere a cogliere il Vero,
ma come il Predicatore, egli non lo trovò.»
(P. B. Shelly)
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Quel «qualcosa da amare», cercato invano nella poesia che dà titolo al libro, viene identificato da Kitty nel affetto dovuto a se stessi e a chi ci ama. In tal senso, l'impegno che Kitty prende con se stessa riguardo all'educazione della figlia è significativo: la protagonista vuole evitare che la figlia diventi la ragazza frivola e superficiale che era stata lei.
Pensando alla promessa della madre alla figlia, ci paiono ingiuste le accuse di misoginia fatte a Maugham. In quella parola, «indipendente», non c'è forse l'essenza del moderno femminismo, l'opposto della misoginia? Certamente, Kitty non è un'eroina perfetta o una donna-angelo. Il suo eroismo, se di esso si può parlare, consiste in qualcosa di umilissimo: rendersi conto dei propri sbagli e provare ad essere migliore. Qualcosa che tutti facciamo.
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