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“Lettere di prigionieri di guerra italiani” di Leo Spitzer, il conflitto nelle epistole

“Lettere di prigionieri di guerra italiani” di Leo Spitzer, il conflitto nelle epistoleLettere di prigionieri di guerra italiani di Leo Spitzer è stato ripubblicato da Il Saggiatore a quarant'anni di distanza dalla prima pubblicazione del 1976, in una nuova edizione che rende noti per la prima volta i nomi dei prigionieri, recuperati attraverso un'analisi delle iniziali sulle lettere. I prigionieri di guerra in questione sono i soldati della prima guerra mondiale, che qui si raccontano proprio attraverso le loro lettere. Un conflitto, quello del '15-'18, che ha rivoluzionato il modo stesso di fare comunicazione: fino ad allora, infatti, non era mai stato scritto così tanto. Secondo i dati ufficiali delle Poste, nell’Italia del tempo sono circolati 4 miliardi di lettere e di cartoline: una cifra impressionante, ma che comunque non regge il confronto con i 10 miliardi della Francia (per la Germania si parla addirittura di 30 miliardi).

Nell'introduzione al volume leggiamo: «Le lettere raccolte da Spitzer rappresentano un caso speciale perché non sono letteredi soldati, come quelle di gran parte delle raccolte posteriori, ma di soldati fatti prigionieri. Tra questi, i reietti e disprezzati: i disertori, quelli che si erano consegnati al nemico senza combattere». La genesi dell'opera di Spitzer risale al periodo in cui l'autore svolgeva il suo incarico di censore postale dell'esercito asburgico (il suo compito consisteva nel filtrare la corrispondenza dei prigionieri italiani): Spitzer concentrò gran parte del suo lavoro nei mesi di ottobre e novembre del 1915, ma anche in seguito continuò a collezionare frammenti di lettere.

 

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Nel testo, l'autore evidenzia le caratteristiche di queste lettere, linguistiche e di stile: per esempio, viene sottolineato che, in generale, «i meridionali tendono a scrivere sotto l’impressione fonetica immediata del loro dialetto nativo, mentre gli italiani del centro o del settentrione sono piuttosto influenzati dalla convenzione locale». Oppure, le lettere evidenziano anche il grado di maggiore o minore alfabetizzazionedel mittente: in generale, chi è meno istruito riproduce con più libertà i suoni della lingua parlata. A tal proposito, viene citata una missiva spedita a Roncegno in Valsugana, che recita:

«Io de fago shavere ge io medrofo a Kansk bresoniero. Io me drofo shano ma shon sta a Losbitale un Meshe. Io de shaluto gon danti baci e shaluti del duo Amico C. B. mili baci angoro shula tua boga adio adio adio».

 

Provate a leggerla ad alta voce: vi accorgerete che il parlato ha effettivamente molto influenzato lo scritto.

 

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Un interessante aspetto delle lettere è rappresentato dall'uso del dialetto. Un curioso esempio lo troviamo in quello che viene definito da Spitzer «dialetto misto tedesco-italiano» (in realtà, una varietà alloglotta cimbra di Luserna/Lusern in Trentino, allora austriaca, al confine nord-occidentale dell’Altopiano di Asiago). Una cartolina spedita da Schwaden a Firenze inizia così:

«Cara A., I machas bissan che bior alle stian gerecht on osò sperarbar von aücho. Balda dar A. is partirt vo da issar gant gerade catria, on zem chatar gevuntet Sp. o. Dunque seandre Zboa sain cherta gebest potnandar».

 

La traduzione è:

«Cara A., vi informo che noi stiamo tutti bene e così speriamo anche voi. Quando A. è partito da qui, è andato direttamente a Trento, e là ha incontrato anche Sp. Quindi, loro due sono sempre rimasti assieme».

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Se un ruolo importante nelle lettere è rappresentato dai ricordi e dai sogni di chi scrive («trovandomi sul mio letto di legno cosi pensieroso ai giorni felici passati a casa e in sua compagnia… Godo un dono speciale, mi par sempre di vedere quel bel telegramma col quale si chiama alla nostra cara patria assieme ai nostri cari compatrioti» sono le parole di un trentino), anche l'umorismoè un ingrediente fondamentale delle epistole di guerra. Questo aspetto è peculiare nella corrispondenza dei soldati italiani, proprio perché l'italiano ha, solitamente, una concezione rosea e allegra della vita (ma, come evidenzia l'autore nel testo, «il lato negativo di questo temperamento ottimistico è che, quando la forza di volontà e la capacita di prestazione sono sottoposte a forti pretese, l’italiano precipita dalle nuvole e fa echeggiare i più acuti lamenti, laddove, in un clima psicologico più settentrionale, sarebbe di regola tutt’al più la costatazione rincresciuta di un senso di disagio»).

 

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Gli italiani, dunque, non mancano di raccontare aneddoti sulla propria vita da soldati o prigionieri, alleggerendoli con toni spiritosi, scherzando sul cibo pessimo, le brutte condizioni di vita, oppure inviando alle proprie case consigli come colui che scrisse:

«Basta che sia vero che andate dacordo come ti me scrivi. Poi se vole far la guerra fra done fatela pure già se i tempi di guerra».

 

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Nelle lettere troviamo anche rassegnazione, spirito religioso, il patriottismo che si mescola all'egoismo, all'esasperazione e alla sofferenza.

«Penzo tante volte che sarebbe stato molto meglio che invece di prendermi prigioniero mi avrebbero amazzato, cosi almeno si avrebbe terminato di tribolare, Quano penso ai momenti trascorsi al fronte Italiano mi vengono le lacrime agli occhi e griderei viva l’Italia ma inghiotisco tutto e spero che presto venga il giorno della nostra libertà».

Così recita una lettera, scritta a Mauthausen e diretta a Udine.

Gli eventi storici si studiano sui libri, ma i sentimenti di coloro che hanno vissuto una guerra possono essere raccontati solo dalla loro diretta testimonianza. In questo caso, dalle loro epistole. In tal senso, Lettere di prigionieri di guerra italiani di Leo Spitzer è una lettura utile per narrare la storia di milioni di uomini, vittime e carnefici in tempi atroci e oscuri. 

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