Leggere per forza: i libri su cui studiare
La Fondazione Feltrinelli ha programmato tra febbraio e marzo 2015 un ciclo di incontri quindicinali nella sua sede milanese, intitolati La forza della parola, la forma del libro. Si tratta di quattro appuntamenti per parlare del futuro del libro in contesti differenti, sia letterari che extraletterari.
L’incontro intitolato Leggere per forza: i libri su cui studiare, che si è tenuto giovedì 12 marzo, ha visto confrontarsi tre docenti universitari sull’attualissimo tema dei cambiamenti portati dalla tecnologia nel mondo della scuola e dell’università: Paola Dubini, direttore del corso di laurea in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione (CLEACC) dell’Università Bocconi, Gino Roncaglia, docente di informatica applicata alle discipline umanistiche presso l’Università della Tuscia, e Luigi Proserpio, professore associato di management e delegato rettorale per l’innovazione dell’apprendimento e della didattica all’Università Bocconi.
Oggi si parla sempre di nativi digitali, applicando questa definizione alle ultime generazioni, ma Dubini ci ha avvertito che, esaminando il comportamento degli studenti universitari e delle scuole superiori, si scopre che il loro modo di studiare è ancora molto simile a quello dei loro genitori, vale a dire organizzato attorno al libro cartaceo e agli appunti presi nel corso delle lezioni. Sono gli alunni delle scuole elementari e medie inferiori a fare un uso maggiore dei supporti digitali, che si stanno affermando in modo notevole tra i giovanissimi.
Secondo Roncaglia, i contenuti delle materie di studio si dividono in due parti distinte: quelli strutturati e curriculari (cioè indispensabili per costruire il percorso d’apprendimento), ricavabili dai libri di testo,e quelli granulari e integrativi, ricavabili da supporti di vario genere, perché l’uso delle tecnologie nella didattica è molto anteriore alla diffusione del digitale. Prima di computer, tablet e LIM (le lavagne interattive multimediali), in effetti, i docenti utilizzavano già diapositive, video, audiocassette.
Attualmente l’atteggiamento generale nei confronti dell’uso del digitale nella didattica segue tre distinte linee di pensiero. La prima sostiene che le risorse granulari, o liquide (in contrapposizione alla rigidità del testo stampato) siano destinate a soppiantare del tutto il libro come strumento di studio; la seconda assegna ai docenti il compito di produrre personalmente e di mettere in rete i testi da utilizzare nei loro corsi, in una sorta di aggiornamento continuo dei libri scolastici, che però in questo modo non sarebbero verificabili come i prodotti editoriali tradizionali; la terza, infine, sostiene la necessità di produrre comunque in modo tradizionale e controllabile i testi destinati allo studio.
Per Proserpio l’università in questi anni è chiamata a uno sforzo di adeguamento globale alle nuove tecnologie, che parte addirittura da un cambiamento architettonico delle aule: se al professore che teneva le sue lezioni col solo ausilio di lavagna bianca e pennarello era necessaria un’aula ad anfiteatro, per risultare visibile al maggior numero possibile di studenti, l’uso di computer o di tablet deve avvenire in gruppi ristretti e in locali molto più piccoli.
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Non tutti i docenti sono in grado di produrre libri dai contenuti accettabili, così come a molti di loro risulta difficile il passaggio frequente dal modo di spiegazione tradizionale all’uso della tecnologia nell’ambito di una stessa lezione. Meglio quindi separare lo studio teorico su un libro di testo dalle attività pratiche di laboratorio da svolgere con gli strumenti digitali.
Secondo Dubini, nel testo strutturato lo studente cerca una rassicurazione, un punto fermo su cui costruire il proprio percorso formativo. Compito dei docenti è orientare la didattica, integrando le possibilità offerte dalla tecnologia sia per l’apprendimento, sia per organizzare gli esami.
Per Roncaglia, l’evoluzione didattica sta in un alleggerimento dei libri di testo: è possibile arrivare alla costruzione di contenuti complessi partendo da materiali leggeri, ma la rete non è ancora arrivata a questo, e qui sta la sfida per il futuro, nella riconquista della complessità in un mondo digitale che non dev’essere per forza liquido e granulare com’è oggi.
Questo può avvenire, secondo Proserpio, utilizzando in modo differente le sue potenzialità: misurando, ad esempio, il grado di apprendimento degli studenti in modo più frequente, grazie all’utilizzo di test continui, che diano al docente un resoconto immediato di quanto viene compreso delle sue lezioni. Oggi nelle università vengono utilizzate diverse piattaforme digitali, che però sono mondi chiusi e separati tra loro: la possibilità di collegarli facilmente può essere uno dei compiti futuri della tecnologia.
Tutti e tre i docenti hanno poi concordato sulla forza della lettura ai fini di un’educazione completa, sottolineando come la scuola, attualmente, fornisca un messaggio contradditorio al riguardo, limitandosi in genere ad assegnare agli studenti in modo astratto libri da leggere per conto proprio. Non esiste una vera educazione a leggere, cosa che va fatta attraverso la discussione e la condivisione dei testi, sul modello dei gruppi di lettura diffusi soprattutto nel mondo anglosassone, e da lì sbarcati in rete.
L’ultimo punto interessante della discussione ha toccato l’assenza dell’Unione Europea nella progettazione di una didattica in rete: si è parlato per anni di un motore di ricerca europeo, ad esempio, mai realizzato (Europeana è solo un tentativo di biblioteca digitale comune), così come non esistono grandi progetti comuni nell’ambito della didattica, a fronte di iniziative importanti in altri settori della vita comunitaria.
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