Le storie di “Noi terroristi” di Mario Giro
Le storie e le analisi contenute nel lavoro di Mario Giro, attuale sottosegretario di stato al Ministero degli Affari Esteri, – Noi terroristi. Storie vere dal Nordafrica a Charlie Hebdo – apparso con Guerini e Associati, sono uno scandaglio in profondità di una fenomenologia di episodi molto complessa.
Il libro parte con una disamina delle cause sociali che possono essere alla base delle forme di fondamentalismo che hanno portato agli attentati parigini del 2015: l’assenza di percorsi di integrazione sociale e la debolezza del fascino delle democrazie europee paiono essere strettamente legati. Questo porta Giro a muovere un’analisi delle forme di reclutamento e dei moventi ideologici che le fondano.
I fondamentalismi sono forti, molto più forti e più diffusi proprio laddove la società democratica si è arrestata, e si procacciano un territorio auto-costituendosi Stato nel Dae’sh, ripristinando regole antiche grazie all’uso ultramoderno dei sistemi virtuali e virali di reclutamento e propaganda. Non c’è bisogno di imponenti presenze territoriali, di monumentali moschee, perché la propaganda attecchisce in modo ordinato e individualizzato (come Merton ci aveva detto qualche decennio fa), favorendo le fratture interne al mondo islamico e proiettandole in Occidente, esportando le divisioni per frantumare e raccogliere i cocci dentro la grande cornice dell’Islam senza più confini.
Le ricadute soggettive di questa penetrazione (il cui esito è forse una sottomissione, per dirla con Houellebecq?) sono nella storia di HM, un beur ‘terrorista’ franco-algerino in carcere in Marocco per aver compiuto un attentato: nella sua piccola e disarmante epopea si è consumato il fallimento delle politiche assimilazioniste e di quelle anticrimine francesi.
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Fattori quali l’intifada, gli attacchi di Israele contro i palestinesi, la rivoluzione khomeinista, la formazione di Al Qaeda nel Maghreb, il razzismo lepenista, sono il fertilizzante di un terreno già ricco, quello delle banlieue abbandonate a loro stesse. In queste periferie lo sradicamento, la disoccupazione, la sottocultura e la deprivazione economica si intrecciano fino a costituire un cordame al quale hanno rischiato (e rischiano ancora) di impiccarsi la società francese ed europea.
Giro ci mostra nella storia di HM questa esclusione coatta che si trasforma, per forza di cose, in ingresso in un gruppo jihadista, che funge da comunità, da nuova famiglia, da piccolo Stato e da motivatore dell’esistenza. La vita di Hm e di un altro esemplare, Kelkal, sono i paradigmi della reislamizzazione in Francia a cui fa seguito la ricerca di una nuova idea di comunità islamica (Umma) e di riterritorializzazione dello stesso Islam (Dar el-islam, la terra dell’Islam). Concetti chiave nell’esposizione di Giro per spiegare il radicamento sociale del fenomeno grazie al ribaltamento di un sistema culturale che da micro-criminale (quello descritto da Kassovitz ne La Haine, per esempio, o nei romanzi della trilogia di Jean Claude Izzo) diventa islamista e radicale.
Nella storia di HM c’è questo groviglio di scelte, di opzioni vincolanti, che lo condurranno a compiere un gesto estremo e a finire nelle carceri marocchine.
In definitiva, il libro di Giro è un gioco di immagini che si specchiano su due superfici diverse, ma compenetrate: quella della lunga durata, della macrostoria, e quella del singolo, della microstoria. Siamo di fronte a un pregevole, analitico avvertimento. Tra le righe si nasconde un insegnamento ostinato, sotto forma di critica: accogliere non è raccogliere, né dibattere sull’alterità senza preoccuparsi degli effetti reali di una socializzazione largamente segregante. Queste cose sono, e ci dicono, le storie di Noi terroristi di Mario Giro.
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