Le religioni misteriche del mondo antico. I misteri orfici
L’orfismo è il più grande fenomeno religioso di carattere mistico che appare nella Grecia del VI secolo; secolo di grandi cambiamenti per il mondo greco, che assiste al crollo del suo medioevo (crollo delle antiche monarchie, sorgere degli stati democratici). In quest’epoca di grande incertezza l’orfismo rappresenta l’anelito di liberazione da un regime di oppressione e di violenza, dove è promesso agli adepti conforto nel presente, libertà nel futuro. Deriva da questa situazione il fatto che gli orfici provino un così forte orrore per il sangue, un così possente desiderio di giustizia (dike) e della legge (nomos). Perciò a divinità centrale della teologia e del culto orfico viene assunto Dioniso, il più giovane degli dei greci, noto soprattutto per la sua sofferenza e per la morte ingiusta. Il fondatore del culto orfico fu Orfeo, la cui figura mitica ha in sé tanti elementi che è difficile delinearne il profilo originale. L’etimologia stessa del nome è assai incerta: qualcuno collega il nome Orfeo a “orfanòs”, nel senso di “solitario”. Più nuova è l’etimologia che ricollega il nome dei pesci del santuario, orfoì, al nome Orfeo che significherebbe così “pescatore”.
Egli è originario della Tracia e, come Dioniso, viene sbranato dalla Baccanti; a lui sono attribuiti inni, oracoli, formule catartiche. Tutto ciò fa pensare che all’origine del movimento orfico ci sia stato un Orfeo di profondo spessore teologico e di carisma religioso in grado di elevare il preesistente mistero dionisiaco alla religione orfica, inquadrandolo in una cosmografia filosofica.
L’orfismo infatti si presenta come una sistemazione teologica dei misteri di Dioniso.
Gli orfici hanno assimilato la figura di questo dio, accettando anche il rituale di uccisione dell’animale sacro con ingestione delle sue carni crude, ma hanno considerato questo sacrificio come la riproduzione di un sacrificio primordiale in cui Dioniso subì per altrui violenza lo sbranamento.
Dioniso riceve nell’orfismo il nome di Zagreo. Secondo la leggenda egli ha ricevuto lo scettro del mondo, ma i Titani, figli della Terra, ne insidiano l’esistenza. Zagreo tenta di fuggire, ma i Titani lo catturano, lo fanno a brandelli e lo divorano crudo, misfatto da cui deriva la triste condizione dell’uomo sulla terra. Athena salva il suo cuore e lo porta a Zeus, il quale genera un nuovo Dioniso. I Titani sono colpiti dalla folgore di Zeus e dalle ceneri si forma il genere umano, nel quale sono perciò riuniti i due elementi: il bene (dionisiaco) e il male (titanico).
Tutta la disciplina orfica consiste, appunto, nella liberazione dell’elemento luminoso che è l’anima, dell’elemento oscuro, titanico, che è il corpo. Secondo gli orfici l’anima è di origine divina e il corpo è una “tomba” in cui è precipitata in seguito alla colpa primordiale. La distanza che separa la prigione oscura del corpo dalla sede beata si può abbreviare solo a prezzo di un’espiazione che si può compiere attraverso una serie di rinascite o trasmigrazioni in una successione di vite che ritornano a se stesse come un circolo, come una ruota.
Questa convinzione deriva dalla credenza popolare della trasmigrazione delle anime che si riscontra nel folklore di tutti i popoli e può assurgere, come nella cultura indiana, a grandi altezze di significato filosofico. La seconda strada è quella della purificazione nell’Ade.
Per raggiungere lo scopo finale, l’orfico s’impone una vita di ascetismo, le cui prescrizioni erano contenute in appositi rituali. Segni esteriori contraddistinguevano gli orfici: una veste bianca, orrore di tutto ciò che può riportare all’idea di morte: il mangiare legumi, il vestire di lana, il gustare uova e carne, tutti elementi che rimandano al mondo dei defunti. L’escatologia orfica ci è esposta in laminette auree trovate in tombe orfiche nella Magna Grecia, a Roma, a Creta. Queste laminette lunghe pochi centimetri, ripiegate più volte, come pezzettini di carta, sono state trovate appese al collo e a portata della mano del defunto come guida o promemoria e amuleto nello stesso tempo, per il suo viaggio ultraterreno. Esse contengono formule brevi di carmi apocalittici orfici, attraverso cui si esprimeva la vita devozionale degli adepti e dove era affermata la loro fede ed esaltata la loro speranza.
Si legge nella laminetta proveniente dall’antica Petelia presso l’attuale Strongoli in Calabria, trovata nel 1834, ora nel Museo Britannico:
"E tu troverai a sinistra della casa di Ade una fonte e ritto ivi presso un cipresso bianco; a questa fonte tu neppure ti accosterai da presso; un’altra ne troverai scorrente fresca acqua dal lago di Mnemosine; guardiani vi stanno dinanzi. Dirai: "Figlio di Gea son io o di Uranos stellato, e celeste è la mia stirpe, e ciò pur voi sapete. La sete mi arde e mi consuma; or voi datemi subito della fresca acqua scorrente dal lago dì Mnemosine". Ed essi ti lasceranno bere alla fonte divina ed allora tu in seguito regnerai con gli altri eroi".
La misteriosofia orfica ha avuto in Grecia delle ripercussioni molto importanti. Essa ha innalzato l’anima religiosa dei Greci, ha nobilitato la visione morale della vita, ha irradiato dì luce beata le tenebre fino allora oscure dell’oltretomba, ha dato agli uomini la divina certezza di guardare in alto al cielo come a loro patria, ed ha suggerito loro i mezzi appropriati, la Legge, per camminare in purità di vita, conservando l’anima candida come la veste prescritta dal rituale. La sua influenza nella manifestazione del pensiero e dell’arte sono incalcolabili: la tragedia di Euripide, le Baccanti, è una tragedia dionisiaca; il libro sesto dell’Eneide virgiliana è stato composto sotto l’ispirazione orfica, uno dei più bei dialoghi platonici, il Fedone, è un dialogo orfico; quel famoso Sogno di Scipione, in cui Cicerone ha consegnato in momenti di sconforto il suo grido di speranza e d’immortalità, è un sogno orfico.
I misteri di Sabazio
Pure della Tracia sono originari i misteri di Sabazio, anch’esso dio della vegetazione, affine a Dioniso, ma dal carattere più rozzo e popolare. Esso giunge in Grecia dalla Frigia e con attributi frigi viene raffigurato: col berretto, i calzoni, la barba abbondante e viene assimilato al dio frigio Attis nelle invocazioni del rito.
Demostene, nel discorso “Sulla corona” del 259, è la principale fonte di informazione del culto di Sabazio.
Le cerimonie pubbliche si svolgevano di giorno e consistevano in una processione di fedeli coronati di finocchio e di rami di pioppo al seguito di un sacerdote che agitava sul capo alcuni serpenti.
Il rito misterico invece aveva luogo di notte: precedeva un rito di purificazione che consisteva nel cospargere di crusca gli adepti e nel dare loro da bere una bevanda inebriante.
Ma la fortuna religiosa di Sabazio è dovuta al fatto che nella Frigia era stanziata una larga diaspora di ebrei trapiantatavi da Antioco di Siria, verso il 200 a.C., adoratori di Jahvé (ahvé “Signore degli eserciti, kurios sabaoth).
L’affinità di questo termine con quello di Sabazio (kurios sabathios) ha fatto sì che Sabazio beneficiasse dell’elevatezza teologica e morale propria del dio ebraico.
Sotto questo aspetto, spiritualmente alto, Sabazio fu venerato in Italia, specialmente a Roma nel III secolo dell’Impero.
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