“Le radici dell’odio” e i paradossi di Oriana Fallaci
Le radici dell’odio di Oriana Fallaci (edito da Rizzoli con la prefazione di Lucia Annunziata) è la ricerca dei paradossi nel mondo arabo-musulmano.
Non una semplice raccolta di interviste e considerazioni sui personaggi che hanno influito sulla diffusione dell’odio in Medio Oriente, ma un testo fondamentale per approfondire la conoscenza da vicino delle personalità che hanno dettato la storia in quelle terre. Ed infatti non ci si può approcciare a questo lavoro della Fallaci senza trattenere il fiato ora che lì, nei posti da cui lei ci parla, c’è il Da’esh, sì, ma c’è un Iran che ora starebbe dalla nostra parte.
Questo libro immenso, vasto, è un fiume che attraversa quel mondo e ne cava l’impressionante immagine di un universo di guerre e assolutismi, di perfidie e di incitazioni all’usurpazione, come ci spiega nelle pagine finali la Fallaci. Il testo è, infatti, dedicato all’odio e parte con quelle storie di donne mussulmane in cui si è specchiata (forse si specchia ancora) un pezzo di società arabo-musulmana. Come la pilota di aerei a reazione turchi Gokcen, unica nel suo genere ma tenace come tante altre, sicura di essere all’altezza del mondo. Di un mondo che mostrava, già allora, peggiorativi segni di cambiamento, quelli sottolineati dalla reporter nella dura presa di posizione finale pro Israele. Segni di disfatta e di ipocrisia come la conversione all’Islam di Cassius Clay, che nella vanità da campione trovò il modo di infiammarsi in una fede che lo portò a detestare i cristiani e a motivare così parte della sua superba forza da pugile.
La Fallaci ci racconta la sua perigliosa perlustrazione nelle trincee dei mondi mussulmani: una notte trascorsa con i fedayn, i guerriglieri di Al-Fatah, con il loro capo avanguardista Abu Kalid, rivela ferocia e umanità giunte in un discorso che mescola Islam e antisionismo a un anticapitalismo antico ma non ortodosso; una cerniera di ideologie imbastardite dalla pressione dei tempi e dalla ferocia della guerra costantemente combattuta su un fronte inesauribile, quello antisreaeliano. E poi l’incontro con Arafat, di cui la Fallaci descrive subito il corpo e il volto, l’inadeguatezza alla guerra e al comando: i tratti del finto combattente, dell’uomo costruito dai media occidentali, francesi, determinato a riprendersi la Palestina decretando la distruzione di Israele e degli stessi palestinesi.
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La lunga disamina di personaggi incontrati e intervistati si dipana sempre preceduta da una contestualizzazione nella quale albergano considerazioni, impressioni, ipotesi e dubbi della reporter: rivelazioni della complessità di un mestiere che non vuole complicità con gli intervistati, ma soltanto cura nella costruzione del racconto, delle domande, dell’offerta delle risposte. E forse, in questo lungo pellegrinaggio per incontri – una specie di etnografia dalle regioni dell’odio arabo – è in Rascida Abhedo, una terrorista e guerrigliera, che troviamo la determinazione quasi trascendente della donna combattente, pronta a immolarsi ma preparata, meticolosa e spietata: motivata da un profondo senso del dovere verso la causa fino a far esplodere bombe ricavate da barattoli di marmellata in un supermercato, causando trenta vittime israeliane senza alcun pentimento o redenzione. E il racconto va anche dall’altra parte, con un’intervista a Golda Meir nella quale vengono illustrate le opinabili ragioni difensivo-offensive di Israele a quel tempo, le conquiste territoriali a seguito della guerra dei sei giorni, l’ampliamento del conflitto atto a destabilizzare tutta l’area.
Ma le interviste più interessanti, perché offrono in fondo due versioni speculari della medesima terrificante idea di democrazia, sono quelle allo scià Mohammad Reza Pahlavi e al suo successore Khomeini: la democrazia negata, non messa in discussione, perché inadatta alla sovranità monarchica, per il primo, e a quella islamica, per il secondo.
In definitiva questa magmatica fatica della Fallaci, che arriva a poco lontano dai nostri giorni, è un atto rivendicativo modellato con un laicissimo filtro culturale che sottopone a verifica pratica i valori degli intervistati bocciando gli ipocriti.
Questo è Le radici dell’odio. Un tassello prezioso a sostegno della conoscenza di un sentimento che nasce dove troppo si muore, dove il potere si fonda su paradossi che la Fallaci ci ha esposto senza peli sulla lingua.
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