Le poesie di Totò. Il lato tragico della maschera comica
Totò è considerato, senza alcuna ombra di dubbio, uno dei più importanti attori comici del secolo scorso. I suoi lazzi, i suoi giochi di parole, lo spassoso modo di storpiare la lingua italiana ancora oggi, a distanza di anni dalla sua morte, continuano a intrattenere spettatori di ogni età. C’è da dire, d’altro canto, che l’attore partenopeo in pellicole quali Guardie e ladri, Una di quelle – solo per citarne alcune – dimostrò di possedere una particolare sensibilità nel calarsi in parti drammatiche e malinconiche rivelando così l’altro lato della maschera.
Questo suo sorprendente lato tragico e pessimista Totò lo espresse pienamente soprattutto nella sua raccolta di poesie, scritte rigorosamente in dialetto napoletano nel corso della sua intensissima vita di attore di teatro e di cinema, ’A livella e Poesie d’amore.
’A vita è bella, sì, è stato un dono,
un dono che ti ha fatto la natura.
Ma quanno po’ sta vita è ’na sciagura,
vuie mm’ ’o chiammate dono chisto ccà?
I versi amari di Totò riflettono sul dolore, una presenza costante e angosciante che trasforma la vita in una «sciagura».
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Da dove nasce questo dolore? Prima di tutto dall’insensatezza della vita stessa; dal suo essere orfana di un significato capace di rendere l’inquietudine sopportabile.
’A verità vurria sapé che simme
’ncopp’ a ’sta terra e che rappresentamme:
gente e passaggio, furastiere simme;
quanno s’è fatta ll’ora ce ne jammo!
All’insignificanza dell’esistenza si aggiunge la morte,che non lascia scampo alcuno.
Nella lirica Il cimitero della civiltà Totò cammina in un camposanto “particolare”: una discarica che raccoglie vecchie e ormai inutilizzabili autovetture, che aspettano di essere smantellate del tutto per poter essere riusate come martelli o rubinetti. Qui il poeta si ferma a parlare con un vecchio carrarmato e una Giulietta, scontenti del loro crudele destino. Alla fine, però, Totò ricorderà loro:
«Io vi capisco… sono dispiaciuto…
ma p’ ’e metalli ’a morte nun esiste;
invece ’e n’ommo, quanno se n’è ghiuto,
manco ’na cafettera se po’ ffa’!»
Una volta arrivata la morte cala il sipario sulla grande commedia umana e non c’è possibilità di concedere il bis; la morte rappresenta la fine di ogni cosa.
Concetto questo sottolineato, mediante versi pregni di umorismo acido e nero, nella poesia ’O schiattamuorto:
Ormai per me il trapasso è ’na pazziella;
e ’nu passaggio dal sonoro al muto.
E quanno s’è stutata ’a lampetella
significa ca ll’opera è fernuta
e ’o primm’attore s’è ghiuto a cuccà.
Oltre alla morte e alla mancanza di un senso, la vita, per Totò, è dolorosa anche per un altro motivo.
-Chisto è ’o ringraziamento ca mme faje?
Chesta è ’a ricunuscenza ca tu puorte?
A chi t’ha fatto bbene chesto faje?
…Ca si’ cuntento quanno ’o vide muorto!
-Amico mio, serpente i’ songo nato!...
… Chi nasce serpe è ’nfamo e senza core!...
…Perciò t’aggia mangià! Ma t’hè scurdato
…ca ll’ommo, spisso, fa cchiù peggio ancora?!
In Ricunuscenza il poeta sta sognando di vagare su per i monti quando, a un tratto, sente il querulo lamento di un serpente rimasto intrappolato sotto un cumulo di pietre. Una volta salvato, il serpente, si avvinghia al collo del suo salvatore e comincia a stritolarlo. Alla sorpresa del poeta il serpente risponde ricordandogli che l’uomo, molte volte, si comporta peggio di un animale.
Altro motivo, quindi, che rende dolorosa la vita è l’incommensurabile malvagità dell’animo umano.
«Embè! – dicette ’o ciuccio – Mme faie pena.
Ma comme, tu nun l’hè capito ancora?
Si, ll’ommo fa vedé ca te vo’ bbene
è pe’ ’nu scopo… ’na fatalità.
Chi pe’ ’na mano, chi pe’ ’n’ ata mano,
ognuno tira ll’acqua al suo mulino.
So’ chiste tutte ’e sentimente umane:
’a mmiria, ll’egoismo, ’a falsità.
Sarchiapone e Ludovico sono due vecchi cavalli rinchiusi dentro una stalla. Sarchiapone crede nella bontà dell’animo umano ma le parole spietate del saggio Ludovico gli faranno cambiare idea: l’essere umano è di natura malvagio, pensa solamente a se stesso; poco se ne importa dei sentimenti del prossimo, anzi, lo sfrutta senza scrupoli per raggiungere i propri scopi.
Ed è proprio a causa di questa tragica consapevolezza che il mondo per Totò si divide in due schieramenti: gli sfruttati e gli sfruttatori, gli uomini e i caporali.
’A vita è ingiusta pecché è fatta a scale.
Ognuno sta piazzato a nu scalino,
ma ’sti scalini nun so’ tutte eguale:
so’ state predisposte da ’o destino
ch’ha regolato chesta umanità.
L’umanità presenta, da una parte, uomini e donne che occupano posti di potere e che godono di immense ricchezze che sfruttano per fini immorali. Tra i potenti, Totò, annovera anche coloro che possiedono una vasta cultura che spendono per soddisfare la loro insaziabile avidità.
Si po’ sentite ’e dicere:
«’O tale hanno arrestato!».
Era uno senza scrupolo:
pazziava al peculato.
[…].
’O scienziatiello atomico
ch’ ’a bomba ’a tena stretta
«Madonna!» - tremma ’o popolo –
«E si mò chisto ’a jetta?»
Guardate che disgrazia
si ’a sciabbulella afferra
nu capo ca è lunatico:
te fa scuppià ’na guerra.
Dall’altra parte, invece, ci sono gli sfruttati, i perseguitati, i poveri.
Ma ’e ccose no… nun cagnano
e vvo dich’ i’ ’o pecché:
nuie simme tanta pecure…
facimmo sempe «mbee».
Questa variegata umanità Totò la presenta in varie poesie: dalla Mundana ai Pezziente; dal Dramma di Don Ciccio Caccavalle alla famosissima Livella. Uomini e donne dimenticati dallo Stato, che campano alla giornata, costretti ad ingegnarsi per guadagnare qualcosa e mantenere la propria famiglia. Un’umanità sofferente che Totò ebbe modo di conoscere durante la sua difficile infanzia trascorsa per i vicoli di Napoli, città che, nelle sue poesie, diventa immagine della povertà e degli sfruttati dimenticati dalle istituzioni.
Però se i potenti sono malvagi, gli umili sono pieni di calore e di generosità nonostante la loro condizione.
Ma Caccavalle tene ’n’ attenuante
se vede can un naviga ’int’ ’a ll’ oro…
Invece io saccio ’e ggente benestante
che tene tant’ ’e pile ’ncopp’ ’o core!
Questa realtà, al pari di quella descritta nei romanzi diGiovanni Verga, purtroppo, non ha alcuna soluzione: è una legge di natura quella che porta il pesce grosso a mangiare il pesce piccolo. Ciò viene espressamente dichiarato nella poesia Bianchina:
« ’O munno è ghiuto sempe ’e sta manera:
’o pesce gruosso magna ’o piccerillo
[…]».
Curioso come, leggendo la sua produzione poetica, non certo vasta, Totò dimostrò di possedere un lato cupo e pessimista, parlando di argomenti non certo leggeri quali l’insignificanza della vita, la morte ed il dolore, lo sfruttamento dei più deboli e poveri da parte dei potenti. Nessuno si sarebbe mai aspettato questo da uno dei più grandi comici italiani di sempre, che con un solo sguardo sapeva suscitare fragorose risate. In poche parole questi versi ci regalano un inedito e triste Totò.
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Eppure anche questa è una legge naturale, come sottolineato una volta da Mario Monicelli: il più grande comico è anche il più grande tragico.
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