“Le mogli hanno sempre ragione”, un nuovo appuntamento con Luca Bianchini
Certe volte, l’unica cosa che vorresti da un libro è creare una bolla intorno a te e strapparti via dal momento che vivi. Il libro, così, assume una funzione terapeutica. Se poi riesce a mettere tra parentesi persino l’angoscia prodotta dalla grande Storia che ci circonda, allora è più di una terapia. Il libro è cura.
È quello che succede a leggere Le mogli hanno sempre ragione, uscito per Mondadori, a firma di Luca Bianchini. Crea una bolla, il mondo fuori resta in pausa e tu, lettore, ti intrattieni con una storia che finisce per farti sorridere una volta in più di quanto ti facciano sorridere di solito i romanzi gialli.
C’è stato un omicidio, e bisogna portare rispetto per la povera governante-babysitter-cuoca della famiglia Scagliussi, Adoracion, ma il come sia stata uccisa la vittima stimola il sorriso. Il colpo fatale è arrivato da un angioletto Thun, della collezione privata della padrona di casa, Matilde Scagliusi, ex moglie di don Mimì, sposato ora con Ninella, nonché amore della sua vita, di cui si può leggere negli altri volumi a firma di Luca Bianchini. È un omicidio con poco spargimento di sangue. Al massimo, un rivolo, o forse nemmeno quello.
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Siamo a Polignano a Mare. A indagare ci sono il maresciallo Gino Clemente e la sua collega, la brigadiera Agata de Razza, il primo non ha esperienza in materia di omicidi, anzi attendeva placido l’arrivo della pensione, la seconda è una salentina munita di una certa lungimiranza. Insieme formano una simpatica coppia, sebbene Clemente da solo riempia di colore la vicenda grazie alla sua più intima passione: il karaoke, eseguito rigorosamente in canotta.
Come sia nata l’idea di collegare un giallo ai precedenti episodi che vede per protagonista la famiglia Scagliusi, Luca Bianchini lo ha spiegato durante una tavola rotonda virtuale organizzata dall’editore in occasione dell’uscita del libro. Dice l’autore:
«Ero chiuso nella mia cucina durante il lockdown, faticavo a scrivere, mentre la pandemia stimolava il mio lato ironico. La fatica di scrivere derivava dal fatto che sono molto fisico nella scrittura, ho bisogno di muovermi. Avevo bisogno di allontanarmi da casa, sia in senso lato sia in senso stretto. Mi era venuto in mente che avrei potuto percorrere due vie: o quella del romanzo storico o quella del giallo. Non leggo molti gialli, quindi per affrontare il genere ho dovuto documentarmi. Inoltre, io lavoro nell’intrattenimento, per cui il mio approccio alla scrittura non ha la pretesa di migliorare eticamente nessuno. Il mio giallo doveva intrattenere».
Nella stesura di Le mogli hanno sempre ragione, Luca Bianchini si è lasciato affascinare dalla maestra del giallo, Agatha Christie, che ha affiancato alla lettura di saggi su come si scrive un giallo e a una approfondita ricerca svolta grazie al brigadiere Paolo Maralla, amico di Bianchini, ma anche ottimo conoscitore di tutte le fasi di un’indagine.
A leggere Le mogli hanno sempre ragione, senza conoscere i precedenti appuntamenti a Polignano e la carriera da scrittore di Luca Bianchini, si ha la sensazione che il romanzo sia stato scritto da chi il genere lo mastica a colazione. Allora, di impulso, ti viene da chiederti quali sono gli ingredienti per un buon giallo. Luca Bianchini risponde: «Ho lavorato molto, con l’editor ne abbiamo parlato a lungo, in più di un’occasione davanti alle mie soluzioni mi diceva che non funzionavano, troppo semplici. Poi, a un certo punto, mi sono chiesto cosa direbbe Agatha Christie in quella determinata situazione e così qualcuno mi ha detto di aver avuto una intuizione geniale, quando ha sentito la mia soluzione. In sé, il lavoro è stato minuzioso, quasi da matematico. Anche sapere quanto durano i fuochi d’artificio è stato un dettaglio che ho dovuto appurare. Inizialmente, pensavo che scrivere un giallo fosse molto più semplice, poi mi sono reso conto che non è così, ma che è esattamente questa la parte più bella».
Clemente indaga in Puglia, a Polignano, da dove noi vediamo il mare, gli scogli, le vie, la processione del santo la sera dell’omicidio. «Cosa pensi di aver dato alla Puglia?», gli è stato chiesto. «Amore e qualcosa che non pensavano di avere, l’autoironia. Il film del 2014 ha portato un po’ di turismo. Ho scritto un libro anche su Venezia, ma non ha sortito lo stesso effetto, Venezia sa già di essere bella. La Puglia non lo sapeva».
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E la critica? «Non sono mai tranquillo nell’affrontare la critica. Mi dispiace deludere chi lavora dietro ai miei libri. C’è un pregiudizio su di me poiché ho una vita pubblica e patisco un po’ non essere considerato letterario. Negli ultimi tempi, la critica che viene mossa è il silenzio. Se un libro non piace, si crea il silenzio intorno a esso. A meno che non si sia abbastanza famosi e allora la stroncatura non manca. Gli scrittori sono una brutta razza, principalmente invidiosi. Gli autori italiani non parlano mai degli autori italiani. È molto difficile fare rete».
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Per la prima foto, copyright: Gianluca Carenza su Unsplash.
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