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“Le lacrime degli eroi” di Matteo Nucci

Matteo Nucci, Le lacrime degli eroiUn viaggio catartico nei poemi omerici, la culla della saggezza e della letteratura antica, quello per cui si incammina il lettore del saggio di Matteo Nucci, Le lacrime degli eroi, edito da Einaudi.

Nostalgia. Ira. Morte. Queste le cause fondamentali di pianto degli eroi omerici. Achille, Agamennone, Patroclo, Odisseo, Ettore non hanno paura delle lacrime. Eroi valorosi e coraggiosi in battaglia, ma grandi davvero perché capaci del pianto, senza vergogna. Solo successivamente il pianto è diventato sconveniente per gli uomini e peculiare dei bambini e delle donne. Fondamentale in questo cambiamento profondo del valore del pianto, il ruolo di Platone ne La Repubblica. Platone amava Omero, lo conosceva profondamente ma in nome della repubblica filosofica che avrebbe dovuto riformare lo Stato non poteva permettere le lacrime, «eppure sapeva che solo chi piangeva a cuore aperto, solo chi era davvero capace di piangere sarebbe stato l’esempio del vero coraggio».

Lacrime nel cui liquido, secondo uno studio del 1951 del professor Onians, i Greci vedevano la sostanza vitale, lo stesso fluido cerebro-spinale simile al seme, presente nelle articolazioni, come nelle ginocchia, che si spezzano quando l’eroe muore o che si piegano nei gesti dei supplici.

Prima di ricordare le lacrime degli eroi omerici, Nucci ci regala un racconto che stupisce molto, quello delle lacrime di Pericle, tramandatoci da Plutarco. Lo statista, che per trent’anni aveva retto un impero navale senza precedenti, quello ateniese, si abbandona alle lacrime, piange la morte del figlio Paralo, stroncato dalla peste: «Un urlo stridulo devastò la quiete del Ceramico. I singhiozzi salirono al cielo come grida di uccelli. Erano singhiozzi che tutta Atene avrebbe potuto sentire. Perché Pericle per la prima volta pianse. Pianse con tutta l’energia che aveva in corpo, tutte le lacrime che non aveva pianto per anni e anni di battaglie politiche e personali, vittorie, sconfitte, delusioni, amari trionfi».

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Matteo NucciQuando Odisseo compare per la prima volta nell’Odissea, piange. L’eroe soffre perché sogna il ritorno nella sua Itaca, dai suoi affetti, e rifiuta l’immortalità e una vita beata con la bellissima dea Calipso, presso l’isola di Ogigia. Odisseo si commuove fino alle lacrime anche presso la corte dei Feaci quando l’aedo Demodoco inizia a cantare della guerra di Troia. Si copre col mantello per non svelare la sua vera identità a corte e non sa che contemporaneamente suo figlio Telemaco, che ha lasciato in tenera età e che è alla sua ricerca, si copre gli occhi con il mantello per non farsi riconoscere. Le sue lacrime si uniranno a quelle di Penelope alla fine del poema, quando gli sposi, svelato il segreto del talamo, potranno finalmente cominciare una nuova vita.

La prima parola dell’Iliade e, quindi, della letteratura di tutti i tempi è “menin”, “ira”. L’ira di Achille nei confronti di Agamennone per avergli sottratto la schiava di guerra Briseide, che provocherà il ritiro dell’eroe acheo più forte. Achille ritornerà a combattere solo per vendicare Patroclo, a cui è legato dell’amicizia più celebre di tutti i tempi, che a Nucci ricorda l’amicizia virile al centro di Zorba il greco, libro di Nikos Kazantzakis del 1946 e poi film, diretto da Cacoyannis nel 1964 con Anthony Quinn.

Una scrittura evocativa e impreziosita dal racconto di numerosi miti, come quello di Dioniso e Ampelo, Niobe e Persefone, Adone. Un viaggio, quello di Le lacrime degli eroi, che porta Nucci al Pireo, alle pendici del monte Elicona dove Esiodo ricevette l’investitura poetica, attorno alla rocca di Troia, dove si stende una pianura coltivata fino al mare e ad Eleusi, il luogo dei Misteri eleusini, che bene hanno descritto Henry Miller ne Il colosso di Marussi ed Emanuele Trevi in Qualcosa di scritto, il saggio dedicato a Petrolio di Pasolini e all’indimenticabile Laura Betti.

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