“Le isole di Norman” di Veronica Galletta, un esordio premiato dal Campiello Opera Prima
Veronica Galletta, ingegnere idraulico con la passione per la scrittura, si è appena aggiudicata il Premio Campiello Opera Prima con Le isole di Norman (Gaffi/Italo Svevo, 2020), un romanzo ambientato a Siracusa, sua città natale.
Per chi non la conosce, Siracusa è una città molto particolare, costruita in parte sulla terraferma, dove si trovano i resti dell’antico insediamento greco e le costruzioni sorte in tempi più recenti, in parte sull’isola di Ortigia, che è collegata al resto dell’abitato con due ponti, dove si era insediata la città medievale, nei secoli bui in cui un’isola era più difendibile dai nemici e dalle scorrerie dei pirati.
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Ortigia rappresenta per gli stessi siracusani una sorta di città nella città, tanto che, per chi ci abita, percorrere i due ponti che la uniscono alla terraferma – o la separano da essa, a seconda dei punti di vista – costituisce un atto un po’speciale, equivalente al passaggio da un mondo all’altro.
La storia si svolge al principio degli anni Novanta, quando su Ortigia si è trasferita da tempo la famiglia di Elena, una giovane studentessa in procinto di iscriversi all’università. Il padre è un insegnante che è stato per anni un impegnato militante dell’ex Partito Comunista, di cui però non comprende e non approva i cambiamenti più recenti, mentre la madre, in preda a un’oscura forma di depressione che la porta a isolarsi dagli altri, si è autoreclusa nella sua stanza, circondata da pile di libri che modifica e posiziona sul pavimento seguendo dei rituali incomprensibili al marito e alla figlia, con i quali comunica sempre più raramente.
Il giorno in cui la madre scompare all’improvviso da casa senza dare più notizie di sé, Elena non crede affatto che si possa essere suicidata, cosa che sembra invece temere il padre, perciò inizia a cercarla, tentando di collegare le mappe immaginarie disegnate dalla donna sul pavimento della sua stanza ai luoghi reali di Ortigia, dove esiste qualche possibilità che la donna si sia rifugiata. Le tappe della sua ricerca diventano presto una specie di pellegrinaggio a ritroso nella tormentata storia della famiglia, in un tentativo di comprendere i motivi che hanno portato alla sua totale disgregazione e alle diverse sofferenze dei genitori.
Facendo questo, però, Elena è costretta a fare luce su un evento traumatico che ha segnato in modo indelebile la sua infanzia: un grave incidente di cui porterà per sempre le tracce sul proprio corpo, ma di cui tutti sembrano stranamente aver rimosso o dimenticato le esatte circostanze in cui è avvenuto.
Per andare avanti nel suo percorso di vita, Elena ha bisogno di conoscere la verità, sfrondata di tutti i falsi ricordi e le costruzioni fantastiche operate dalla sua problematica famiglia nel corso del tempo. Come i personaggi de L’isola del tesoro, il libro che il padre le leggeva quand’era bambina, anche Elena deve esplorare le differenti isole della sua vita: la magica Ortigia, prima di tutto, raccontata dall’autrice come un luogo insolito e un po’ sospeso nel tempo e nello spazio, prima dell’avvento del turismo di massa che l’ha resa una meta interessante, ma forse l’ha privata di parte del fascino che traspare dalle pagine del romanzo. In seconda battuta, però, Elena deve fare i conti anche con le cicatrici sparse sul suo corpo, proprio quelle che da bambina, nei momenti peggiori della sofferenza, aveva iniziato a chiamare “isole”, e che sono anche cicatrici dell’anima.
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Le isole di Norman si presenta dunque come un esordio promettente, come dimostra il riconoscimento ottenuto dalla giuria del Premio Campiello Opera Prima.
Per la prima foto, copyright: Megan Kotlus su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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