“Le formiche” di Boris Vian
Le formiche di Boris Vian è uno di quei libri che hanno la proprietà, quasi alchemica, di trasformare il proprio lettore, di non lasciarlo passare indenne, o uguale a se stesso, dalla lettura. Una raccolta di racconti in un prezioso volumetto, riedito nel 2013, dopo molti anni, da Marcos y Marcos, con la traduzione dal francese di Giulia Colace e Olga Parano; una raccolta che non mostra per nulla i segni del tempo. Si tratta, infatti, di un gruppo di testi riuniti e pubblicati per la prima volta nel 1949, ossia ben 65 anni addietro.
Eppure, al lettore meno accorto, o a quello voluttuosamente inconsapevole, l’attualità che trasuda da ciascun “pezzo” potrebbe apparire quasi oscena, disturbante. Se ci si dovesse attenere alla sola biografia di Boris Vian, del resto, non si potrebbe tralasciare la brevità della sua esistenza, chiusa improvvisamente nel 1959 a trentanove anni a seguito di un infarto, né si dovrebbe tacere della salute precaria del poliedrico artista. Tuttavia, basta dare anche solo uno sguardo alla sterminata produzione di Vian, fra racconti, romanzi, testi teatrali, poesie, canzoni, oltre a considerare la sua opera di traduttore, per rendersi conto della concitata, febbrile, sovrabbondante “corsa artistica” di cui fu protagonista l’autore de La schiuma dei giorni. E proprio questo romanzo, grazie anche alla recente traduzione cinematografica diretta da Michel Gondry, ha riportato l’attenzione su Vian negli ultimi mesi. Di certo, attenzione per nulla immeritata.
Le formiche è una raccolta estrema, in tutti i sensi. Estrema, in primo luogo, nella variegatura dei personaggi che affollano le pagine, a volte addirittura “transitando” da un racconto a un altro. Militari, idraulici, musicisti da camera, fornai, prostitute, gatti, viaggiatori in treno, raccoglitori di francobolli, autostoppisti, tutti insieme in un affresco dettagliatissimo eppure delineato a pennellate decise, tanto grosse quanto azzeccate.
Estrema in ciò che viene narrato. Si va dal curioso “delitto a stanza chiusa” in Il viaggio a Khonostrov, nel quale la presenza di un compagno di scompartimento poco loquace scatena un’operazione di rivalsa dai contorni degni di un survivalist horror à la Saw, agli intensi contro-apologhi sulla guerra e, più in generale, sul dominio dell’ordine, in Allievi modello e nel testo che dà il titolo alla raccolta.
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Con Vian si viaggia tra anguste location, con l’ottimo esempio de Il gambero, in cui il protagonista, che si è preso un malanno suonando «il flauto ruvido in mezzo alla corrente», si adopera per fornire grandi quantità di sudore a un fornaio avaro e affarista, il quale glielo paga, tirando sul prezzo, per poi rivenderlo all’interno del suo esercizio; o come ne L’idraulico, dal tradizionalissimo impianto comico basato su un grosso equivoco di fondo.
E si approda fra singolari allievi di una scuola che insegna la difficile arte della pietra tombale, in La strada deserta, o in mezzo a uno sgangherato consesso che tenta di tirare fuori un felino dedito al turpiloquio da un tombino, in Blues per un gatto nero.
Si giunge, per queste vie complicatissime, al racconto che appare come il risultato più compiuto, per vivacità narrativa, capacità immaginifica, respiro e, non da ultimo, per i numerosi rimandi al sopracitato La schiuma dei giorni: il racconto si intitola L’oca blu e ci presenta il protagonista Olivier, in un viaggio assieme alla fascinosa Jacqueline, all’impettito Maggiore e a un cane, descrivendoci l’allegra brigata alle prese con un nastro di asfalto più simile a un tapis roulant, un amore che sta sbocciando, timido e perso, fra tempi dilatati e campi senza fine e, sullo sfondo, il senso di certo stolido e funesto pragmatismo, sempre in agguato negli scritti di Vian.
Niente facili letture, non si fraintenda. Le formiche è un volume che richiede concentrazione e frivolezza, disponibilità a patti narrativi labilissimi e capacità di astrarre. La scrittura non concede nulla a possibili patetismi nascosti tra le pieghe, né fa sconti in crudezza o in sangue.
Il fatto è che Boris Vian parlava, e parla ancora, più vivo che mai, di universali, di costanti, di dinamiche invariabilmente stabili. Così tanto da essere annoverabili fra quanto di più intimo possa esistere nell’animo umano, mentre il corpo compie il suo viaggio.
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