Le cose che non ci diciamo, secondo Ferruccio de Bortoli
Il tema dominante del saggio di Ferruccio de Bortoli, Le cose che non ci diciamo (edito da Garzanti), può essere compreso sin dal titolo che è alquanto perspicuo a tal riguardo e rispetto al quale è utile evidenziare quanto segue. L’autore non si limita ad affermare che sia necessario comprendere o, addirittura, disvelare l’implicito o il nascosto, ciò che non ci viene detto; egli sottolinea con forza che si deve dire ciò che non “ci diciamo” e ciò che non “ci siamo detti”. È quel “ci”, quella prima persona plurale che è di fondamentale importanza all’interno dell’opera: essa riguarda quella dimensione comunitaria che l’Italia ha ritrovato in un momento così difficile della sua storia, quale quello che stiamo vivendo, giorno dopo giorno, da febbraio 2020. De Bortoli enuclea questo aspetto sin dalle prime pagine del libro: le parole del Presidente della Repubblica circa la forza “di comunità”, lacapacità di resistenza e la resilienza –che gli italiani hanno dimostrato – non hanno suonato a vuoto e sono state accolte dall’autore come spia per un imprimatur per il futuro. La costruzione di quest’ultimo muove a partire dall’oggi, dalla situazione di crisi in cui ci siamo trovati e nella quale abbiamo ritrovato lo spirito di comunità e nella quale abbiamo compreso che non siamo lo stereotipo etnico che spesso viene dipinto: bisogna dunque smettere di gettare, in maniera continuata, discredito su ciò che siamo stati, su ciò che siamo e su ciò che saremo. È nei momenti più bui che il Bel Paese ha mostrato la sua forza e questo è uno di quei momenti – forse di transizione, oppure, ancora di più, di rottura con ciò che è stato – in cui la luce in fondo al tunnel c’è e deve essere cercata. In ogni epoca storica “di mezzo” e buia sono già,in nuce, presenti gli elementi e le qualità che brilleranno nell’età successiva; ciò che accadrà anche questa volta.
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Sicuramente gli elogi possono essere molteplici ma, parimenti, bisogna anche essere realisti, continua De Bortoli, ed è corretto mostrare anche i limiti di un’azione governativa che avanza a colpi di bonus e sussidi. Una democrazia assistenziale – specie in questo periodo – deve aiutare attraverso sovvenzioni economico-pecuniarie le aziende e le famiglie ma, a un tempo, non deve lasciare credere alle stesse che si possa vivere di bonus, di prestiti a fondo perduto e di aiuti vagamente produttivi. Essi appariranno agli occhi dei miopi come eccezionali e utili proprio perché validi nel breve termine. La politica, tuona l’autore, non deve rimanere ancorata all’hic et nunc ma, al contrario, può e deve essere lungimirante poiché, facendo altrimenti, si lascia respirare il popolo per il primo anno post-pandemia e lo si strozzerà poi, trasformando le future generazioni in debitrici prima ancora che siano entrate in società in senso stretto.
Le colpe e i limiti non devono essere attribuiti soltanto alla politica. L’autore sferra una dura critica anche nei confronti di chi, a livello aziendale, nonostante capacità produttive talvolta aumentate “intra” e “post” lock-down, si è mostrato interessato solo al profitto personale, a “fare cassa” o ad aumentare la “efficienza aziendale”. Scrive Ferruccio De Bortoli:
«[Stiamo parlando] della cattiva coscienza degli imprenditori, dei professionisti e di tutti coloro che, pur guadagnando di più, hanno finito per pagare meno tasse. […] E poi ci sono quelli che, dopo aver messo in cassa integrazione i dipendenti, hanno ripreso l’attività, in diversi casi meglio di prima, ma hanno ridotto l’occupazione […]»
L’autore mostra, da ultimo, quali siano i nodi gordiani che devono essere sciolti per aprire la strada al futuro quando ancora sembra di essere ritornati al passato. Bisogna difalcare i limiti che non avevano permesso all’Italia di allora di trasformarsi in, per così dire, potenza all’avanguardia. Ecco che statalizzazione di società industriali, nuove povertà e diseguaglianze, investimenti che sembrerebbero essere controintuitivi e discredito di una concorrenza agonistica sana richiamano alla mente ricordi non del tutto felici.
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In conclusione, dunque, Ferruccio de Bortoli mostra che, per poter guardare avanti, è utile – anzi necessario – volgere lo sguardo indietro per comprendere ciò che non aveva funzionato e le mosse sbagliate in modo tale da abbandonarle e seguire una direzione diametralmente opposta per permettere all’Italia di rialzare la testa. L’esecutivo – ma anche, per un certo rispetto, tutti gli italiani – deve fare ciò: l’opportunità per un rilancio del Bel Paese è senza precedenti e, talvolta, il treno passa una sola volta ed è difficile inseguirlo. È per questo che dobbiamo dir-ci le cose che non ci siamo detti e quelle che non ci diciamo.
Per la prima foto, copyright: Martin Sanchez su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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